Ora non è più italiana neanche la pizza...

Tutti o quasi i piatti tipici sarebbero invenzioni straniere e chi dissente è un gastronazionalista

Ora non è più italiana neanche la pizza...
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Alberto Grandi è un maramaldo. Non perché la cucina italiana, la vittima dei suoi sadismi, sia moribonda ma perché davvero non si sente tanto bene e di tutto avrebbe bisogno meno che di uno sgambetto come La cucina italiana non esiste. Bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici (Mondadori). Scritto da Grandi, professore di storia del cibo all'università di Parma già noto per altre malefatte (come il libro e podcast «Denominazione di Origine Inventata»), insieme al vicemaramaldo Daniele Soffiati.

Chiaramente è una provocazione: il titolo disfattista è una cosa e il testo, in qualche punto perfino ragionevole, è un'altra. Purtroppo i libri li leggono in pochi mentre le copertine le vedono in tanti ed ecco a voi il danno arrecato. Chiaramente è un'operazione, peccato sia l'operazione di chi continua a ripetere che la cucina italiana è un'operazione, ossia un'invenzione del marketing, ovvero una bugia. I due sembrano godere tantissimo nello smontare i nostri piatti iconici, a cominciare dalla pizza. Ma perché tanto accanimento? Cosa gliene viene? A pagina 107 si svelano: «La pizza è un elemento identitario forte». Si capisce che a Grandi e Soffiati le identità non piacciono, specie se identità nazionali. Soprattutto non piace l'identità italiana, chiaro, ma è proprio il concetto di nazione a risultare indigesto ai due autori, capaci di deridere finanche il Manifesto della cucina ucraina, pubblicato subito dopo l'attacco russo nel tentativo di rafforzare l'orgoglio di un popolo aggredito. Lo avevo detto che sono due maramaldi... Subito dopo citano Joseph Roth: «Io odio le Nazioni e gli Stati nazionali». Dovevano metterlo in esergo, lo avremmo capito subito da che pulpito ideologico parlano. Avrebbero potuto intitolarlo L'Italia non esiste questo libro antipatriottico che sarebbe piaciuto a Metternich e piacerà a globalisti, progressisti, nichilisti e multiculturali vari. L'Italia è soltanto un'espressione geografica e se fra Alpi e Sicilia si mangia qualcosa di buono lo si deve agli stranieri «perché la cucina italiana è americana; perché anche africana, francese, austriaca, spagnola, giapponese». Oltre che araba, dovendo ai maomettani il caffè e le melanzane, o almeno così raccontano Grandi e Soffiati facendo maliziosa confusione tra ingredienti e ricette, tra natura e cultura. Come se la parmigiana di melanzane l'avessero inventata i saraceni, come se la macchina per fare l'espresso fosse stata brevettata dall'emiro di Palermo.

Leggendo La cucina italiana non esiste mi è tornata in mente una frase di Pasolini: «Non mi interessano le dissacrazioni: questa è una moda che odio. Io voglio riconsacrare le cose». Sebbene non si riferisse a maccheroni e parmigiano perché il cibo era l'ultimo dei suoi pensieri e perché allora, metà anni Sessanta, qualcos'altro di sacro c'era ancora. Mentre oggi l'ultima ridotta dell'identità italiana sembra proprio l'enogastronomia. Se la trincea del patriottismo è la carbonara posso senz'altro ammettere che si tratta di una riduzione ma perché dissacrare, massacrare anche questo? Per masochismo? Come si dice a Parma «putost che njent, mej putost». Piuttosto che niente meglio l'Artusi, il Talismano della Felicità, le Ricette Regionali Italiane di Anna Gosetti della Salda... Molto meglio, direi.

Che poi se Grandi e Soffiati sul mangiare sono alquanto opinabili, sul bere vanno saltati a piè pari. «Martinotti-Charmat. Il Prosecco viene storicamente e pressoché unicamente realizzato con questo metodo e prodotto in autoclave». Santissimo Iddio! Storicamente un corno! Il Prosecco storicamente veniva prodotto fermo (avete capito bene: fermo), nel 1880 venne reso frizzante da Antonio Carpenè, le autoclavi di Martinotti e Charmat arrivarono dopo. E non certo «pressoché unicamente». I prosecchi migliori, i prosecchi col fondo di Gregoletto, Casa Coste Piane, Cà dei Zago, Siro Merotto, Fratelli Cosmo, la disdicevole autoclave non la vedono nemmeno col binocolo. E così per abbattere i falsi miti si bombardano le eccellenze vere...

Scusate, quando mi toccano il vino mi innervosisco, adesso mi calmo e spiego perché, all'inizio, ho detto che il libro in qualche punto è perfino ragionevole.

Lo è quando punta il dito contro la retorica del biologico, lo è quando critica la trasformazione dell'Italia in parco divertimenti e villaggio turistico, lo è quando ricorda la crisi strutturale della ristorazione, ormai «sinonimo di lavoro povero». Ma non uno di questi problemi verrà risolto dissipando il nostro patrimonio di sapori e di ricette.

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