Vendetta, e non solo. Il missile che l’8 marzo ha incenerito Hussein al Yemeni, il capo di Al Qaida stratega dell’operazione suicida costata la vita il 30 dicembre scorso a sette fra agenti e «contractor» della Cia verrà ricordato come qualcosa di molto più importante d’una semplice rappresaglia. Quel centro micidiale messo a segno nel cuore di Miram Shah - il capoluogo del Nord Waziristan considerato uno dei santuari pakistani di Al Qaida - è una tappa fondamentale nella guerra al terrorismo. Una tappa che può preludere alla cattura o all’uccisione di Osama Bin Laden e alla definitiva sconfitta del suo gruppo. A sostenerlo è il direttore della Cia Leon Panetta tratteggiando - in un’intervista al Washington Post - quella che definisce «l’operazione più aggressiva mai messa a segno dalla Cia». La campagna - iniziata lo scorso anno e basata, per la prima volta nella storia delle guerre moderne, sull’utilizzo di aerei senza pilota - avrebbe decimato i vertici operativi di Al Qaida, seminando il panico tra l’organizzazione. «Queste operazioni li stanno mettendo in seria difficoltà; stando alle nostre informazioni sono un’organizzazione fuori controllo, priva di una linea di comando e prossima al collasso, ormai – sostiene Panetta - sembrano veramente allo sbando». Dopo l’uccisione di Hussein al Yemeni uno dei pochi comandanti superstiti avrebbe cercato di mettersi in contatto con Bin Laden implorando un suo intervento per restituire efficienza e motivazione agli ultimi superstiti dell’organizzazione. Il messaggio intercettato dalla Cia rischia, però di rendere assai vulnerabile l’imprendibile capo terrorista. Non a caso Panetta si spinge persino ad evocare gli scenari successivi ad una sua prossima cattura. «Lo scenario più probabile - ipotizza - sarebbe il loro immediato trasferimento in una base militare seguito da immediati interrogatori». Il capo della Cia non è l’unico ad affrontare il delicato argomento. Il generale Stanley Mc Chrystal, responsabile delle operazioni militari in Afghanistan, discetta da alcuni giorni della necessità di catturare vivo Bin Laden mentre il segretario alla Giustizia statunitense Eric Holder ne dà per certa l’eliminazione in caso d’individuazione del nascondiglio. Questa ridda d’ipotesi e d’opinioni suggerisce l’idea di un diffuso ottimismo basato proprio sui successi conseguiti negli ultimi tempi dalla Cia. Gli indiscussi protagonisti di questa svolta strategica sono i Predator, gli aerei senza pilota armati di missili Hellfire in grado di colpire i nascondigli dei capi di Al Qaida sfruttando al meglio e nell’arco di poche ore le cruciali informazioni raccolte dagli agenti sguinzagliati sui due lati del confine afghano-pakistano. L’operazione dell’8 marzo, la 22ª dall’inizio di quest’anno, segna da questo punto di vista un’autentica svolta. Quel giorno i Predator portati sul bersaglio grazie alle informazioni della Cia, ma pilotati via satellite da una base intorno a Las Vegas, hanno dimostrato di poter operare con efficacia anche all’interno d’una città distruggendo con precisione chirurgica la base in cui lavoravano Hussein al Yemeni e un gruppo di militanti considerati il «gotha» di Al Qaida nel campo degli esplosivi e delle operazioni suicide. Quell’operazione messa a segno nel cuore del «sancta sanctorum» urbano di Al Qaida segna anche il riscatto morale di Langley. Hussein al Yemeni oltre ad essere uno dei più importanti comandanti operativi di Al Qaida ancora in attività era anche lo stratega della strage-beffa del 30 dicembre.
Quel giorno un doppiogiochista giordano era riuscito a farsi esplodere in una base afghana della Cia infliggendo all’organizzazione il colpo più sanguinoso degli ultimi 26 anni ed eliminando una «capo cellula» considerata la veterana dalla caccia ai capi di Al Qaida.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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