Ma ora servono veri organismi decisionali

Si legge nel rapporto di ieri del Fondo monetario internazionale: «Con i mercati mondiali alle prese con crescenti turbolenze, misure politiche internazionali organiche e decisive saranno richieste per il ripristino della fiducia nei sistemi finanziari». Purtroppo, il Fmi non dice a chi tocca prendere queste misure, e forse non è neppure in grado di farlo: mentre a parole si auspica un maggiore coordinamento, si ha infatti l'impressione che tutti procedano in ordine sparso, badando soprattutto al fronte interno.
C'è chi, come gli Stati Uniti, può contare su un più snello ed efficace processo decisionale e riesce perciò a emanare in tempi stretti provvedimenti di grande respiro, che magari non riescono a convincere del tutto i mercati, ma danno nondimeno una impressione di reattività: la settimana scorsa, il fondo di 700 miliardi per rilevare dalle banche gli strumenti finanziari "avvelenati", ieri un nuovo meccanismo per agevolare le imprese nelle loro attività di finanziamento sui mercati monetari a tassi accessibili. C'è chi, come la Russia, non ha problemi di decisionismo e, oltre a varare un sostanzioso pacchetto per il salvataggio delle proprie banche, corre addirittura in aiuto dell'Islanda (un Paese della Nato!) con un prestito di 4 miliardi di euro. C'è invece chi, come l'Unione Europea, non solo inanella una riunione dopo l'altra senza riuscire a produrre alcuna misura veramente incisiva, dando così ai mercati una dannosa impressione di impotenza, ma appare addirittura dilaniata da contrasti interni, giustamente stigmatizzati ieri da Giulio Tremonti. È evidente che, se l'Irlanda di sua iniziativa garantisce senza limiti i depositi nelle sue sei banche principali, finisce con l'attirare ingenti capitali dagli istituti di credito di altri Paesi mettendoli in crisi; ed è altrettanto chiaro che se l'Ecofin si limita ad innalzare la garanzia sui conti correnti da 20 a 50 mila euro, quando in molti Paesi (tra cui, per fortuna, l'Italia) è già molto superiore, pone le premesse per altri isterici movimenti di danaro.
Molti hanno criticato - non senza motivo - Sarkozy, presidente di turno dell'Unione, per avere convocato un vertice straordinario sabato scorso senza prima avere concordato un piano preciso con gli altri partecipanti. Comunque, ci è andata bene, perché almeno con la sua autorità ha suonato la diana. Proviamo a immaginare che cosa sarebbe successo se la crisi fosse scoppiata in primavera, quando a presiedere la Ue al posto della Francia c'era la Slovenia, o quando, dopo il 1° gennaio, toccherà alla Cechia: avrebbero dovuto convocare non solo i capi di governo membri del G7, ma tutti i 27 soci dell'Unione, con il risultato di rendere impossibile qualsiasi accordo. Forse, la vicenda servirà almeno a far capire che - in tempi calamitosi come questi, in cui il mondo deve affrontare situazioni senza precedenti - non è possibile avere un mercato unico e una moneta unica senza disporre anche di organismi decisionali adeguati.
Intanto, l'appello del Fmi sembra destinato a restare senza risposta.

Ci sarà chi, come l'Australia, taglierà i tassi d'interesse; chi, come il Giappone, li manterrà invariati; chi, come la Cina, fa addirittura sapere che «il mondo non deve pagare per gli errori americani». Speriamo che almeno il G7, che deve riunirsi a fine settimana, o meglio ancora il G8 a cui sta lavorando Bush, riesca a produrre un messaggio unitario che attenui il panico generale.

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