da Milano
Oggi invocano prudenza, chiedono garanzie e si fanno mille scrupoli. Ieri invece a sinistra era tutta una standing ovation per i giudici, i dubbi, se cerano, venivano dopo. Allora, ieri, le sentenze erano sacre e il tabernacolo della giustizia inviolabile. Allora, ieri, i verdetti riguardavano principalmente Silvio Berlusconi. Così, il 13 novembre 2004, dopo la richiesta al processo Sme di condanna a 8 anni per il Cavaliere e dopo il conseguente strepito del centrodestra, Piero Fassino se la cavava così: «Non appartiene alla politica commentare né le sentenze né le requisitorie, si tratta invece di questioni che sono di competenza della professionalità dei magistrati e degli avvocati». Sempre Fassino il 3 febbraio 2006 scolpiva la massima delle massime: «Noi i magistrati li rispettiamo». I casi De Magistris e Forleo erano ancora di là da venire e la vicenda Unipol non era ancora scoppiata in tutto il suo fragore. Così davanti allennesima richiesta di condanna di Berlusconi, Oliviero Diliberto signoreggiava in questo modo: «Chi insulta, come fanno alcuni degli imputati ad iniziare dal presidente del consiglio, non sa cosè la democrazia perché non sa cosè la divisione dei poteri». Certo, spesso dalle parti di Forza Italia i toni erano lividi, ma qualche domanda era pur lecito porsela. E invece niente.
A parte qualche lodevole eccezione, nessuno a sinistra si fermava un istante ad analizzare quello sciame di processi che dal 94 inseguiva e insegue tuttora il Cavaliere e nemmeno provava a domandarsi il perché di una sfilza impressionante di assoluzioni, sia pure con formule diverse. Nulla. Andava avanti la lunga luna di miele fra i giudici e una parte dellemiciclo politico. Allora il Gruppo del Cantiere - comprendente fra gli altri Giulietto Chiesa, Diego Novelli, Achille Occhetto, Elio Veltri, Paolo Sylos Labini - si schierava senza se e senza ma con il Pm Ilda Boccassini. Di più quelli del Cantiere ironizzavano col mappamondo in mano: «E poi ci si meraviglia che lEuropa non abbia voluto affidare la responsabilità del dicastero della giustizia a Buttiglione».
Unaltra epoca. Santa Maria Capua Vetere era solo un puntino sperduto sulla carta geografica, la famiglia Mastella non era sulla graticola e le Procure di mezza Italia erano impegnate altrove, ad Arcore e dintorni. Così ad ogni esternazione del Cavaliere, i leader dei Ds scoccavano le frecce della loro indignazione. Luciano Violante commentava sobrio: «Le frasi di Berlusconi non sono adeguate a un primo ministro di una delle maggiori democrazie occidentali».
Insomma, il Berlusconi che si infuriava davanti alla miriade di procedimenti, veniva paragonato implicitamente, ma non troppo, a qualche satrapo orientale. I giudici, invece, venivano issati di forza sul più levigato dei piedistalli. Allora, il 27 novembre 99, Massimo DAlema davanti, tanto per cambiare, al solito rinvio a giudizio di Berlusconi, si preoccupava: «Per il tono che sta assumendo la destra. E questi sarebbero moderati? Questo è estremismo violento e intimidatorio. Si può discutere di tutto - era la conclusione - ma non del principio di legalità».
In effetti oggi, oggi che il vento delle indagini soffia dallaltra parte, si discute di tutto ma proprio di tutto. Si fa a pezzi limmagine del Procuratore Maffei, si irride il gip Forleo, sispeziona De Magistris che aveva messo il naso negli affari della coppia Prodi-Mastella.
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