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Orsi e Schiavio agli albori del calcio

È il mondiale di casa, il primo a essere disputato in Europa e il primo preceduto dalle qualificazioni. L’Uruguay campione uscente boicotta in risposta alla decisione italiana di disertare l’edizione del 1930. Argentina e Brasile schierano le seconde linee. Si gioca dal 27 maggio al 10 giugno, e per molti quei 14 giorni passeranno alla storia come «il mondiale del Duce», fortemente voluti - e secondo alcuni anche condizionati - da Mussolini.
L’Italia è guidata da Vittorio Pozzo e si affida alla stella del «balilla» Giuseppe Meazza (due volte in gol e sempre decisivo), oltre al talento dei tre oriundi argentini Orsi, Schiavio e Guaita. Pur tra polemiche e sospetti la marcia degli azzurri si spinge fino alle soglie della finale, non prima di aver cancellato una delle favorite, l’Austria, in semifinale, schiantata da un gol di Meazza.
L’ultimo atto si gioca il 10 giugno al Flaminio di Roma, davanti a 50 mila spettatori. Di fronte c’è la Cecoslovacchia. Ed è una battaglia epica, che gli azzurri riacciuffano pochi minuti prima del triste epilogo. I boemi arrivano alla finale spinti dall’arma letale Oldrich Nejedly, capocannoniere del torneo con cinque reti in quattro partite. Gli azzurri scendono in campo contratti, gli avversari spingono che è un piacere, e colpiscono tre pali, con Puc, Sobotka e Svoboda. A venti minuti dalla fine, il gol di Puc sembra segnare la fine del sogno di una nazione intera. Invece i ragazzi di Pozzo reagiscono, si gettano in avanti e in dieci minuti rientrano in partita, grazie a Orsi. È la rete che vale i supplementari, strada maestra verso il trionfo azzurro. Il sigillo decisivo è di Angelo Schiavio, imbeccato da Meazza al 95’.

Combi e compagni alzano la coppa, l’Italia scende in strada a festeggiare.

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