da Managua
Ha abbandonato Lenin, approdando a Lennon, ridacchiavano gli avversari. Ma proprio spogliandosi dei panni di rivoluzionario e intonando «Diamo unopportunità alla pace», nella versione spagnola della famosa canzone dei Beatles, lungo tutta la campagna elettorale, dopo 16 anni di ossessione per riacciuffare il potere, l'ex guerrigliero sandinista ed ex presidente Daniel Ortega, 61 anni sabato prossimo, ha coronato col successo l'ardua impresa, vincendo domenica scorsa le elezioni presidenziali.
Scrutinati il 91,8% dei seggi, la Commissione elettorale suprema (Cse) ha reso noto che il leader del Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln) ha ottenuto il 38,07% dei voti: annuncio che ha spinto il suo più acerrimo avversario, Eduardo Montealegre, il candidato dell'Alleanza liberale nazionale (Aln) che, strenuamente appoggiato da Washington, ha avuto il 29%, a correre ad abbracciarlo, riconoscendo per primo il suo trionfo. L'uno e l'altro, poi, hanno assicurato che i poveri, l'80% dei 5,2 milioni di abitanti del Paese, «saranno la priorità».
Ortega, pragmatico fino al midollo, è pronto a dimenticare marxismo e castrismo: ha già firmato un accordo con la potente Camera di commercio del Nicaragua (Caconic), impegnandosi a rompere quello con il Partito liberale costituzionalista (Plc), siglato due anni fa con l'ex presidente Arnoldo Aleman (agli arresti domiciliari per 20 anni per mazzette da 100 milioni di dollari) con il quale si era spartito il controllo di gran parte dell'apparato dello Stato.
Ora tutto fa supporre lex guerrigliero scenderà a patti soprattutto con gli Usa. Tomas Borge, 76 anni, l'unico sopravvissuto tra i fondatori dell'Fsln e ora vicesegretario del partito, lo ha specificato chiaramente: «Il sandinismo al governo, al di là di molte cose buone, è stato insensato, arrogante e burocrate. Non ripeteremo quelli errori della rivoluzione».
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