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A Orvieto troppi corpi estranei per il palato dei puristi

Umbria Jazz Winter si tiene da 14 anni a Orvieto dopo il Natale. Sembrò all’inizio che fosse un’impresa temeraria, destinata a rapida fine. Secondo i pessimisti, la consorella maggiore estiva, in funzione a Perugia dal 1973, bastava e avanzava e il periodo delle feste di fine d’anno non pareva adatto. Invece Ujw diventò subito la prediletta degli intenditori. Il luogo incantevole, le sale bellissime, l’impossibilità di ospitare folle oceaniche rendevano inutile qualsiasi velleità di inquinare i cartelloni con altri «generi» musicali per chiamare gente: una prassi alla quale Umbria Jazz (jazz?) di luglio ha progressivamente ceduto.

Ma ecco che adesso, prima di dedicare un articolo più ampio agli esiti artistici della quattordicesima edizione di Umbria Jazz Winter, ci corre l’obbligo di dichiarare con spirito di collaborazione, e proprio per ciò con la massima energia, che il rischio dell’inquinamento e la ripetizione dei protagonisti stanno diventando clamorosi anche ad Orvieto, dove costituiscono colpa grave assai più che a Perugia. Senza offesa per gli artisti che meritano comunque rispetto, chiediamo cosa c’entri Sergio Cammariere con la rassegna orvietana e quante volte (qui e a Perugia) si sia ascoltato Roy Hargrove, per tacere di altri.

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