Per gli ospedali è l’ora delle sinergie

Dopo un processo durato anni la sentenza è stata emessa: i 1100 ospedali italiani vanno in gran parte rifondati. Addio ai piccoli nosocomi inefficienti. Addio anche alle strutture realizzate nell’Ottocento (ve ne sono ancora molte) che non riescono a nascondere la propria età. A Milano il Policlinico ospitò allo Zonda Hemingway ferito, prima della sua fuga in Svizzera attraverso il lago Maggiore. Molti i grandi ospedali sovradimensionati, come il San Martino di Genova: ospita in un monoblocco e in tanti padiglioni fino a cinque mila pazienti. Al Niguarda di Milano (in fase di ricostruzione)i corridoi sono più larghi del Transatlantico in Parlamento. Troppi i centri privi di servizi fondamentali, ambulatori senza apparecchiature diagnostiche.
«Il problema è avvertito in ogni regione, le ristrettezze di bilancio l’hanno acuito. É necessario un piano ospedaliero. Nel Veneto lo stiamo realizzando in questi giorni, dopo 15 anni di discussioni», precisa Luca Coletto, assessore alla sanità della Regione Veneto, una delle più virtuose assieme alla Lombardia, ma anch’essa bisognosa di numerosi interventi.
«Oggi l’ospedale –aggiunge Coletto - deve soddisfare le esigenze dei pazienti acuti, offrire alta professionalità e specializzazione e far parte di una rete con strutture satellite legate in modo sinergico, con percorsi di riabilitazione individuali. Si vogliono offrire servizi adeguati ai cronici ed anche ai 2,8 milioni di disabili troppe volte trascurati». Il piano sanitario 2011-2013, messo a punto da Ferruccio Fazio, ministro della salute, sta per decollare. Sono sempre più frequenti le riunioni al ministero. Il documento triennale , dopo l’esame a Palazzo Chigi, passerà all’esame del Parlamento. Il testo è comunque già stato approvato anche dai governatori regionali e non dovrebbe incontrare particolari difficoltà. I piccoli ospedali, autentiche astanterie, saranno riconvertiti in strutture ponte per l’assistenza sul territorio: ambulatori per i casi meno gravi, aperti 24 ore al giorno e gestiti da medici di famiglia con l’obbiettivo di ridurre l’affollamento nei pronto soccorso e le liste di attesa. Articolato in 12 parti, il piano sanitario 2011-2013 affronta i numerosi nodi del servizio sanitario pubblico: dalla ricerca alle nuove tecnologie, dalla sicurezza delle cure alla farmaceutica, fino all’accreditamento delle strutture. La grande sfida che la sanità deve oggi affrontare è l’invecchiamento della popolazione e l’aumento della cronicità. Due fattori che richiedono strutture adeguate e che rischiano di far esplodere i conti di tutti i Paesi occidentali. Oggi è avvertita l’esigenza di cure appropriate, della riabilitazione, dell’assistenza specialistica e tutto ciò a fronte di risorse finanziarie limitate. «L’unione tra il pubblico ed il privato è sempre più fondamentale, è una simbiosi – aggiunge Coletto – che garantisce flessibilità, efficienza, organizzazione, il giusto controllo. Il privato deve agire in modo complementare, deve contribuire all’eliminazione delle liste di attesa, ad una maggiore efficienza. Attraverso la prevenzione, le nuove tecnologie, una rete ospedaliera più efficiente, meglio si risponde alle esigenze del territorio»
In questi giorni al ministero della sanità sta avvenendo il riparto delle risorse finanziarie tra le regioni: 106,5 miliardi per il 2011. Grande il fermento, la coperta è corta. Il Veneto ha acquisito molta esperienza con alcuni progetti pilota come quello realizzato nel Trevigiano, a Motta di Livenza, dove sei anni orsono un piccolo ospedale generalista si è trasformato in una struttura ad alta specializzazione con percorsi di riabilitazione e prese in carico di pazienti anche dopo la dimissione, in particolare nel caso di disabili. «Abbiamo dimostrato – afferma Alberto Prandin, direttore generale dell’ospedale riabilitativo di alta specializzazione di Motta di Livenza – quanto si può fare anche in una località lontana dai grandi centri universitari. Nell’ospedale di Motta di Livenza si curano, attraverso percorsi riabilitativi, i pazienti che hanno subito interventi cardiochirurgici o neurochirurgici e che provengono da tutta Italia.

I medici di famiglia, grazie ad una convenzione con l’azienda sanitaria, ricoverano i propri pazienti nella nostra struttura. Gli ospedali se ripensati, rifondati, dotati di strumenti adeguati, offrono ottime risposte alle esigenze territoriali e non».

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