Gli ospedali presi d’assalto: «Qui almeno c’è il fresco»

Nella città torrida in cerca di refrigerio. Amina e altre amiche, pendolari da casa al Niguarda: «Nei reparti c’è l’aria condizionata»

Gianandrea Zagato

Amina entra ed esce da Niguarda che è un piacere. Tutti i giorni dalle quattordici alle diciassette, domenica esclusa: ma i suoi familiari non si preoccupano, marito e figlio sanno infatti che poi alle diciotto in punto, Amina, ritorna al terzo piano del civico 5 di via Monzabano. E con lei rientrano a casa anche la signora Giovanna, Francesca e Serena ovvero le sue vicine di casa.
Quartetto di settantacinquenni che non frequentano più di tanto medici e medicine, «per fortuna ci basta una controllatina alla pressione». Che ci fanno allora a Niguarda? «Be’, prendiamo una boccata d’aria fresca». Idea davvero singolare, quando il caldo impasta la giornata e l’asticella del termometro s’impenna «resistere tra le mura domestiche è impossibile anche col ventilatore alla massima potenza».
Così, l’Amina quartet si dà appuntamento al piano terreno del reparto Talamona, dove si fa la fila per esami e visite mediche. «Ce ne stiamo sedute a fare quattro chiacchiere e a far passare il tempo, anche coinvolgendo qualcun altro. Sì, ci sono altre persone della zona di Niguarda che fanno come noi» racconta la sciura Amina. Già, è diventata un’abitudine da qualche anno, «andare al supermercato come consigliano i politici meneghini per stare al fresco è “rischioso”: passare il tempo a gironzolare tra gli scaffali manda in crisi il bilancio familiare e, poi, non ci puoi stare tre ore di fila». Meglio starsene all’ospedale, dunque: in un angolino, «senza disturbare», e con il distributore di acqua fresca e caffè a due passi e tentare di far passare le ore più torride della giornata.
Ma, attenzione, quello di Amina e delle sue amiche non è un caso isolato. Anche al Policlinico di via Sforza, raccontano gli infermieri, c’è chi «trascorre la pausa pranzo di mezzogiorno all’ingresso del “Granelli“ o nelle zone comuni dei servizi generali, dove la cappa di calore, afa e umidità è pari a zero». Opportunità che, a due passi da corso di Porta Romana, sfruttano gli operai della vicina Aem e pure qualche frequentatore della biblioteca comunale, quando gli impianti di condizionamento fanno le bizze e tra il caldo diventa insopportabile.
Servizi che, naturalmente, tutti gli ospedali milanesi garantiscono ai degenti e dove i condizionatori sono guasti oppure in tilt sono in funzione «pinguini» che rinfrescano l’aria. Impossibile dunque per il cronista ritrovare sul taccuino una sola protesta di pazienti e loro familiari: «Meglio sarebbe non stare inchiodati a questo letto ma almeno qui non si soffre il caldo», «il refrigerio c’è, quella che manca è la salute» e altri leit motiv d’ordinanza.


Unica segnalazione di biasimo quella contro chi «entra in reparto e non chiude dietro di sé la porta pure se a caratteri cubitali c’è scritto che “i condizionatori sono in funzione”», peccato veniale che si somma a un’altra lamentela firmata dagli infermieri, «nei locali occupati da noi non ci sono né condizionatori né “pinguini” ma solo ventilatori, qualche volta pure portati da casa». Lamentela, diciamo, di «servizio» e moderata: «Sia chiaro, prima viene il malato che ha diritto a una degenza coi fiocchi».

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