Outing al «Muppet»

«Oddio, i bambini!». Già, e adesso? Spegniamo la tivù? Li mettiamo tutti a navigare in culla con l’iPad? Oppure ritiriamo fuori Barbie e Ken, che almeno con loro si viaggiava sul sicuro (anche se oggi come oggi non si può mai dire)? Ad ogni modo, bisognerà pensarci su, oppure prendere l’agnizione di Bert per quella che è: una parola da pupazzo.
La stampa ci è comunque andata a nozze. È bastato un messaggio su Twitter di Bert – che insieme a Ernie è uno dei personaggi più famosi dei Muppets, la serie di pupazzi creata da Jim Henson trent’anni fa – per scatenare le interpretazioni più strampalate e complottistiche. Bert ha chiesto ai suoi followers sul famoso social network: «Avete mai notato come i miei capelli sono simili a quelli di Mr T?». Il riferimento era al nerboruto Mr T del popolarissimo telefilm A-Team, che portava una zazzera di fatto piuttosto congruente con la domanda di Bert. Che ha aggiunto: «L’unica differenza è che la mia pettinatura è più “mo” e meno “hawk”».
La comunità gay, da sempre sensibile ai sottomessaggi, ne ha subito fatto argomento, come dire, da parrucchiere per signora. Partendo da questa constatazione: «Mo» - come hanno spiegato nelle ore successive l’Indipendent e il Los Angeles Times, seguiti a ruota da altre testate web e da intellettuali blogger – è una parola slang che sta a significare «omosessuale». Vero, se è per questo la usava anche Michel Foucault nelle saune di San Francisco. Comunque apriti cielo, anche perché una volta che si comincia con i parallelismi casuali non si finisce più e si può sostenere davvero qualsiasi tesi. Ed Kennedy, scrivendo sul blog gay AfterElton.com, ha fatto subito notare che il tweet di Bert è coinciso con la settimana gay di alcune città degli Stati Uniti. Il Los Angeles Times, nello stile di Hollywood Babilonia, si è chiesto, dopo lunghe analisi, se The Muppets, uno dei più seguiti programmi per bambini in assoluto, non sia nascostamente governato da una lobby gay. Le prove dell’esistenza di una «cupola omosessuale» non mancherebbero: che dire delle comparsate in varie trasmissioni dell’attrice comica (e lesbica) Wanda Sykes? E di quella dell’attore (gay) Neil Patrick Harris, a peggiorare le cose nel ruolo di «fatina della scarpa»? Per non parlare di quando Will.i.am, capo dei Black Eyed Peas, ha cantato What I am, cioè l’inno omosex par excellence.
Naturalmente, la Gay and Lesbian Alliance ha elogiato il tweet di Bert: «Questo messaggio ha aperto un nuovo capitolo nell’insegnamento ai bambini che bisogna accettare persone diverse da noi». Naturalmente, organizzazioni non solo di destra religiosa, come Focus on the family e Family Research Council (nella quale lavora un esperto di «individuazione di temi omosessuali»), sono subito insorte minacciando il boicottaggio della trasmissione, che va in onda sulla rete a finanziamento pubblico Pbs. Tolleranza zero, in altre parole, perché qui non si tratta, per dire, dell’outing (indiretto) di Fabrizio Corona, che ha lasciato l’amaro in bocca tuttalpiù a qualche quarantenne di belle speranze, ma di pupazzi (ma che differenza c'é?).

Cioè - anche - di programmi capaci di influenzare fanciulli della più tenera età (e a questo proposito pare che anche altre trasmissioni per l’infanzia come Teletubbies o SpongeBob Square Pants abbiano strizzato un po’ troppo l’occhio ai giovani spettatori). Non sia mai. Stai a vedere che poi si innamorano di Ken.

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