Ovi, il presenzialista di Stato

Raccontano nei bar di Carpineti, provincia di Reggio Emilia, che un giorno Alessandro Ovi decise di festeggiare alla grande il suo compleanno e invitò in trattoria un consigliere di amministrazione della Sirti (società leader nell’hi-tech), uno di Italtel, uno di Alitalia, uno di Telecom e ancora l’amministratore delegato di Tecnitel, il consigliere del presidente del Consiglio per le comunicazioni, il direttore della rivista «Technology Review Italy» e il responsabile «media e tv» dell’Ulivo. Alla cena c’erano tutti, riuniti in una sola persona: Alessandro Ovi.
A 64 anni compiuti e pensionato da otto, il «bostoniano di Reggio» continua a darsi da fare. Di seguito la sua formazione, dal Corriere della Sera: «Liceo a Reggio Emilia, laurea in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano e una borsa di studio Fulbright spesa per un master al Mit di Boston, su cui ha costruito le sue fortune di curriculum e di immagine». Segni particolari? «La vivacità intellettuale, la capacità di vendersi bene e l’attenzione a presenziare a ogni cerimonia». La stampa d’altronde è sempre stata maligna con Ovi. Quando nel 2003 fu nominato nel board delle Generali, il Sole-24 ore osò insinuare che l’ennesimo, prestigioso incarico fosse in qualche modo collegato alla sua «amicizia ventennale» con un altro emiliano doc. «Non posso far niente per conto mio che subito dicono che c’entra Prodi», rispose risentito. Dieci anni prima, quando il Professore lo chiamò all’Iri, aveva reagito con più ironia: «La scelta di Romano non si deve alla conterraneità, ma al fatto che il presidente vuole qualcuno da battere al mattino, durante le sessioni di footing a villa Borghese».
Questione di feeling. Da Prodi, Ovi ha sempre avuto incarichi delicati: assistente di fiducia ai tempi della (s)vendita del patrimonio statale, «consigliere speciale» in Commissione Ue, «addetto al barbecue e alle nomine Rai» (copyright Massimo Gramellini) durante le disavventure a palazzo Chigi. Già, la tv di Stato: la sua grande ossessione, e forse l’unico cda che conta dove non è mai riuscito a sedersi.
Il suo problema non è il conflitto di interessi.

Tutti questi ruoli che si alternano, si intersecano, si sovrappongono, mettono il nostro di fronte a un rischio peggiore: lo sdoppiamento di personalità. Lui però guarda avanti e risponde sempre, come ieri al Corriere dopo le ultime intercettazioni: «Che cosa c’è che non va?». «C’è qualcosa di male?».

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