Gian Marco Chiocci
Massimo Malpica
RomaL’altra faccia delle «guarentigie parlamentari» è quella dell’ex ministro Claudio Scajola, immortalato in giacca scura mentre parla con il «collega» Alfonso Papa, davanti all’ingresso della Camera. Non è l’unica foto scattata all’ingresso dei deputati di piazza del Parlamento. E non è l’unica immagine di Papa allegata agli atti dell’inchiesta napoletana sulla P4: il parlamentare del Pdl è infatti ripreso a spasso per Roma e per Napoli, durante operazioni di pedinamento che, val la pena ricordarlo, per i parlamentari non sono ammesse. Scajola, contattato dal Giornale, si riconosce nella foto, ricorda l’episodio e cade dalle nuvole: «L’ho incontrato per caso prima di entrare in parlamento. È incredibile che la mia immagine sia finita agli atti, e non solo perché io con i personaggi della P4 non c’entro nulla».
IL PEDINAMENTO
Quegli scatti, sgranati nelle fotocopie, sono emblematici di un’indagine che ha preso a dir poco alla leggera le prerogative concesse a deputati e senatori. Papa, essendo il politico più coinvolto nell’inchiesta, è anche il caso più eclatante: sono state intercettate le sue telefonate e i suoi sms e seguiti i suoi spostamenti. È stato intercettato all’inizio dell’indagine, da fine agosto al dieci settembre 2010, dagli inquirenti che non sapevano ancora che carica ricoprisse, poiché utilizzava un cellulare intestato ad altri. Ma lo stop «ufficiale» all’attività di ascolto, seguito all’identificazione di quel numero con un parlamentare, non ha messo la parola fine alle intercettazioni dell’ex magistrato. I pm hanno tentato di «salvare» i brogliacci facendoseli confermare a verbale dagli interlocutori di Papa. Comunque spiato, da quel momento in poi, «indirettamente», ossia quando conversava con altri protagonisti dell’inchiesta che erano sotto ascolto da parte degli inquirenti: Luigi Bisignani, per esempio, e l’ex assistente di Papa, Maria Elena Valanzano.
LA SPIATA «INDIRETTA»
Il gip, che pure ha ritenuto vi fossero gravi indizi sufficienti a chiedere l’arresto per il parlamentare, ha dichiarato inutilizzabili gran parte delle intercettazioni, comprese quelle che Woodcock e Curcio avevano tentato di trasformare in verbali. E il parere del giudice è una dimostrazione autorevole che, a prescindere dalle eventuali responsabilità di Papa che dovessero emergere dall’inchiesta, sono stati utilizzati metodi poco ortodossi. Il dettaglio delle foto, prima che saltassero fuori dagli atti, era in parte noto perché sono state ripetutamente mostrate e più testimoni (al ministro Mara Carfagna, ad esempio) nel corso degli interrogatori. Così, già a dicembre scorso i giornali ne avevano parlato, innescando alla Camera un’interrogazione del Pdl che rimarcava come l’«attività d’indagine» era svolta «nel totale dispregio delle prerogative e guarentigie parlamentari».
DEPUTATI MONITORATI
Ma il «Papa-paparazzato» non esaurisce il capitolo del Palazzo «spiato». Prendiamo la già citata Valanzano, ex assistente parlamentare di Papa che ha straparlato di improbabili sms intimi tra Fini e una parlamentare Pdl (una che a leggere le trascrizioni in alcuni punti ricorda la starlet Sara Tommasi nelle sue chiamate al premier) anche lei un’«utenza monitorata» dagli inquirenti. Solo sul suo telefono, e in appena due settimane - annota il colonnello Luigi Acanfora della Gdf lo scorso 27 gennaio - «si rappresenta che nel corso delle operazioni tecniche iniziate in data 3 gennaio 2011 (...) sono stati intercettati complessivamente 1.129 contatti con vari soggetti, di cui 135 con parlamentari, e precisamente: 40 con Silvio Berlusconi; 61 con Alfonso Papa; 10 con Luigi Campagna; 24 con Denis Verdini». Nelle carte dunque finiscono anche i contatti personali che la giovane avvocato ha col premier. La cui utenza personale viene spiattellata nero su bianco, senza omissis, accompagnata dall’acronimo SB (Silvio Berlusconi).
I CONTATTI CON SILVIO
La sera del 9 gennaio, ad esempio, dopo aver cercato di contattarlo, la Valanzano invia un sms a Berlusconi: «Caro presidente, pur lasciando diverse chiamate anche in segreteria, non ho purtroppo avuto modo di sentirTi. Ma spero e credo che non mancheranno altre prossime. Divenuta ora la 1^ dei non eletti in Campania inizio l’anno con ancor più attenzione e impegno, augurandomi di poter continuare con entusiasmo questo affascinante percorso intrapreso (...). La Tua idea delle cose mi dà questa forza». Nello stesso giorno ci sono sette tentativi di telefonata a Berlusconi in meno dieci minuti. Il 17 gennaio, alle 22.36, altro contatto con Berlusconi: «Vorrei chiamarTi ma non voglio disturbare, in questi giorni si sta assistendo all’espressioni massima di una sinergica violenza delle intenzione di uno statalismo autoritario. Grazie perché non ci stai abbandonando al buio prima di ogni cosa il futuro di noi giovani, e ora vuole controllare e castrare quello che resta di legittime aspettative e sogni. Sono qui, ti voglio bene». Fra i contatti telefonici ai parlamentari, pescando a caso, eccone uno con Verdini. Anche qui il numero del coordinatore del Pdl è riportato in chiaro: «Effettivamente la logistica degli incontri non è dalla mia parte... ma ci vuole ben altro per scoraggiarmi (...). Salirò infrasettimanalmente, baci tanti e buon prosieguo». Verdini risponde con cortesia.
«ASCOLTATI» I DIFENSORI
Tra le anomalie procedurali di quest’inchiesta anche l’ascolto, non consentito, delle conversazioni fra gli indagati e i rispettivi difensori. Si è detto delle intercettazioni sull’utenza dell’avvocato Domenico Mariani, legale del carabiniere fuggito all’estero. Stesso trattamento per l’avvocato Fabio Lattanzi che difende Bisignani (almeno quattro le chiamate in atti) e che in un’informativa sulle intercettazioni fra i due viene definito «amico» del lobbista indagato.
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