Stefano Zurlo
da Milano
Cinque ore e mezzo di camera di consiglio. Poi la Cassazione cristallizza una pena pesantissima: sei anni. Ora, per Pierfrancesco Pacini Battaglia si aprono, almeno in teoria, le porte del carcere. Mani pulite afferra in extremis uno degli imputati più importanti e sguscianti della Rivoluzione giudiziaria: il «banchiere un gradino sotto Dio», come fu definito nel 1993, quando comparve sulla scena di Tangentopoli. Linchiesta che lha perduto è quella sui fondi neri dellEni, pari a 120 miliardi di vecchie lire. Pura archeologia, con Antonio Di Pietro pubblico ministero e imputati eccellenti che si chiamavano Sergio Cusani e Gabriele Cagliari. Polemiche e ricordi dolorosi ormai archiviati.
Pacini Battaglia era riuscito in qualche modo a limitare i danni, i suoi processi erano andati avanti al rallentatore, poi nel 96 Mani pulite due laveva travolto di nuovo mettendo in discussione pure la limpidezza di Di Pietro. Il banchiere dalle sette vite però si era rialzato e aveva ripreso a combattere su tutta la linea contro i suoi molti guai. Alla fine, nella complicata aritmetica giudiziaria, aveva capito che la storia dei fondi neri Eni sarebbe stata decisiva. Solo qualche settimana fa era riuscito a schivare un altro colpo e aveva chiuso con lassoluzione la vicenda del cosiddetto closing di Enimont, ennesimo capitolo di storia che ormai si dovrebbe leggere solo nei libri di saggistica.
Dunque, la partita andata avanti per dodici anni è stata risolta dalla Suprema corte dopo una giornata lunghissima. Gli avvocati Alessio Lanzi e Franco Coppi, il difensore del Governatore Antonio Fazio e di Giulio Andreotti, hanno dato battaglia e hanno presentato ben undici motivi di ricorso, sottolineando in particolare «il balletto di imputazioni» e la conseguente violazione del «principio del contraddittorio». «In principio - ha spiegato Coppi - nei confronti di Pacini si parlava di appropriazione indebita, poi si è passati alla ricettazione, infine si è tornati allappropriazione indebita». Il sostituto procuratore generale Vincenzo Geraci ha chiesto la conferma della pena. Ludienza è andata avanti fino alle 16, poi i giudici si sono chiusi in camera di consiglio. Per scattare lultima grande foto di unepoca. Quindi il verdetto: sei anni per Pacini e altrettanti per Francis Roger, suo storico collaboratore.
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