Via Padova, benvenuti nella casbah di Milano

Ben 96 negozi aperti in 3 anni sono intestati a immigrati

Gianandrea Zagato

Tre chilometri e 480 metri, 403 numeri civici e quattordici fermate della «56». Sintesi di via Padova che collega piazzale Loreto al naviglio Martesana, dove sono rimaste solo quattro macellerie ancora italiane. Le altre sette, compresa quella «equina», hanno cambiato insegna: ora, lì si vende carne macellata secondo i rituali islamici e altri prodotti esclusivamente marchiati in arabo. Trasformazione che è pure cartina di tornasole del quartiere: infatti, via Padova è la strada degli immigrati, quella dove vive la più alta concentrazione di extracomunitari all’ombra della Madonnina.
Spiega delle 96 attività commerciali aperte negli ultimi tre anni intestate a immigrati, di cui 39 centri di telefonia internazionale e 42 di minimarket. Presenza multietnica che ha spinto Palazzo Marino a offrire «risposte sociali». «Abbiamo dimostrato di saper volare alto con l’immaginazione per dare una risposta di solidarietà, di assistenza e collaborazione» ricorda Tiziana Maiolo, assessore uscente ai Servizi sociali. Virgolettato che si traduce in accoglienza e risposta pronta ai bisogni di quest’arteria dove a due passi dal civico 144, sede dell’istituto islamico, giovani sudamericane e magrebine accalappiano clienti per sbarcare il lunario. Flash di illegalità quotidiana condita anche dallo spaccio, «vivere qui è un’impresa: c’è una situazione di degrado inimmaginabile che costringe le persone oneste a nascondere la testa come gli struzzi» chiosa il titolare di una delle macellerie italiane sopravvissute. E lo sguardo corre al giardinetto all’incrocio con via Arquà, luogo di spaccio anche in pieno giorno. Ma il pensiero va pure «allo stato di abbandono della via: illuminazione scarsa, pulizia approssimativa e arredo urbano inesistente» come recita un verbale della polizia municipale. Come dire: denuncia di abbandono, di terra di nessuno pure in quell’angolo del parco Trotter dove tra sporcizia e carenze igieniche sorge la «Città del sole», complesso scolastico frequentato da 360 bambini stranieri su 900. Leit motiv comune alle denunce di cascine abbandonate, residenze per anziani trasformate in dormitori notturni e centrali di spaccio.
«Immigrazione ben diversa da quella che negli anni Sessanta arrivava dal Sud» annotano i sopravvissuti, che hanno ancora paura ad avvicinarsi all’11 di via Cavezzali. Già, lì era il ghetto degli immigrati sgomberato dopo esposti su esposti, incendi e l’omicidio di un marocchino. Prezzo troppo salato per chi vorrebbe vivere nella tranquillità di un quartiere di periferia, «certezza impossibile» se il vicino di casa è uno slavo o un rumeno che abusivamente occupa la palazzina di un ex reparto della stradale: «Sono clandestini che sbucano alla sera e “lavorano“ in Stazione». Indicazione di un’altra area critica della zona 2: la Stazione Centrale. Criticità che al commissariato di via Schiapparelli si esplica nell’allargare le braccia: «È un porto di mare, gente che va e che viene», «bisogna stare con gli occhi aperti, truffatori e spacciatori sono sempre in azione». I ritagli della cronaca milanese confermano il quadro di un’area assediata, nonostante i blitz quasi quotidiani delle forze dell’ordine. «Adesso, comunque, si vive meglio rispetto al passato» fa sapere il gestore del Bar Panzera di piazza Duca d’Aosta. Valutazione comune alle associazioni di via Vitruvio, Scarlatti e viale Brianza che i residenti non condividono appieno: «C’è ancora troppa prostituzione lungo Benedetto Marcello e strade adiacenti.

C’è ancora troppa delinquenza in azione nel piazzale antistante la Centrale. C’è ancora troppa paura a circolare di sera». Esasperazione di un malessere che, a due passi dal centro di Milano, alle venti in punto, si lascia fuori dall’uscio di casa: scatta il coprifuoco in zona 2.

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