da Manila
Il 10 giugno padre Giancarlo Bossi scompare. Rapito, mentre si recava a celebrare messa a Payao, nel sud ovest dellarcipelago filippino. A un mese esatto dal suo sequestro, le notizie sono poche e frammentarie. Lunica certezza è la nomina di un mediatore, la cui identità è per ora segreta, che seguirà le trattative per la sua liberazione. Lo rivela lagenzia missionaria Misna, citando padre Gian Battista Zanchi, superiore generale del Pime (Pontificio istituto missioni estere) che ha parlato di un «importante incontro tra i padri del Pime, polizia locale, esercito, autorità filippine e ambasciata italiana, nel corso del quale è stato designato un mediatore unico per i negoziati».
Non trova intanto conferma la notizia data dal quotidiano Philippine Star di un sms mandato da Padre Bossi a un amico. «Ricevuto tuo messaggio, fa il possibile per liberazione», recita il messaggio, ritenuto dalla Farnesina non attendibile. Continuano i dubbi anche su chi abbia rapito il missionario: padre Zanchi insiste sul non coinvolgimento di Abu Sayyaf, gruppo integralista legato ad Al Qaida, che Manila ritiene invece essere lautore del sequestro. Il tribunale di Zamboanga ha reso noto i nomi di tre uomini ritenuti responsabili del rapimento. Non si sa se siano presunti guerriglieri o criminali comuni.
E da Basilan, nel sud, dove Abu Sayyaf è più attivo, è arrivata la notizia di scontri tra ribelli integralisti e marine dellesercito filippino impegnati nelle operazioni di ricerca del missionario: sono morti 4 soldati e due ribelli.
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