Il padre: «O trovano i colpevoli o farò giustizia io»

«Mio figlio Pietro l’ho sentito per l’ultima volta ieri sera. Mi ha detto: “Mamma, lo sai che devo comprarmi un vestito nuovo perché sono stato invitato a un matrimonio?“. E adesso...Adesso siamo qui».
Ore 14.15 di ieri, obitorio di piazzale Gorini. Domenica Tripodi, operaia in una ditta di pulizie in zona Garibaldi, ha il viso di cera e sembra più anziana dei suoi 57 anni. Rigirandosi il cellulare tra le mani, se ne sta seduta su una panchina, i pensieri lontanissimi. L’ex marito, Salvatore Mazzara, 56enne, che le sta accanto, invece non si da pace. Separati da dieci anni, hanno sempre mantenuto buoni rapporti. «E poi c’era Pietro, era il nostro unico figlio».
Pietro, 27 anni, non c’è più. È nella stanza accanto, ma è morto all’improvviso ieri mattina all’alba. Qualche minuto prima delle 5, una Bmw 320 D con a bordo 4 nomadi reduci da un furto in una bar tabaccheria in via Mambretti (Quarto Oggiaro) e che viaggiava a fari spenti, all’angolo tra via Arsia e via Cogne ha travolto con una violenza inaudita la Citroën C3 sulla quale viaggiava Pietro, da solo. Il ragazzo, che stava tornando nel suo appartamento di via Val di Bondo 21 (zona Comasina), è stato sbalzato fuori come un missile al punto che ha sfondato il lunotto posteriore: il suo corpo, catapultato su altre auto, è atterrato dopo un volo di venti metri sull’asfalto. I tentativi di rianimarlo sono stati inutili.
Il padre Salvatore, ex ferroviere in pensione originario di Campofranco (Caltanissetta), è stato svegliato dai vigili mentre dormiva nella sua abitazione di Baranzate. «Mi hanno telefonato per dirmi che Pietro aveva avuto un incidente - ci spiega -. Sono stato io a chiamare poi la mia ex moglie, che abita in provincia di Pavia. Qui all’obitorio, dove siamo stati assistiti da uno psicologo e da un’assistente sociale, siamo venuti insieme, ma il riconoscimento del cadavere l’ho fatto solo io. L’ho baciato mio figlio, anche se lui non se n’è accorto. Un rivolo di sangue gli usciva dal naso e aveva ancora gli occhi sbarrati. Povero Pietro...».
Salvatore racconta che il figlio, che aveva la licenza di terza media, era disoccupato da qualche mese. I suoi amici hanno raccontato che avrebbe voluto fare il tassista, ma il padre glissa sull’argomento. «Viveva da solo da oltre un anno. E faceva dei lavoretti. Era stato anche operaio in una ditta dell’hinterland. La sua passione era la boxe. Si allenava due volte la settimana in una palestra di Bollate con una squadra. E lunedì avrebbe dovuto partecipare a una selezione. Lui avrebbe voluto battersi sul serio. “Tanto non ci finisci in televisione“ gli dicevo io. E lui: “Fossi in te, papà, non sarei così pessimista“. L’ultima volta che ci siamo visti, domenica, era tutto contento per la sua gara...un bravo ragazzo, mi creda. Adesso chi me lo ridarà? Se non si decidono a stabilire pene, se tra poco tempo, trovati i colpevoli della morte di mio figlio, li dovessero rimettere fuori, penso che potrei anche farmi giustizia da solo».


Nel cortile dell’obitorio, una ragazza dai capelli lunghi e neri si stringe la testa tra le mani. È Sabrina, 20 anni, la ragazza di Pietro. «Stanno insieme da quando lei aveva 17 anni. Questa è una vera tragedia» ci dice la madre Monica che, insieme al marito, ha accompagnato la figlia in piazzale Gorini.

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