Fedora Franzè
Lultima lunga fase di Claude Monet, quella che dai Pagliai alle serie delle Macine che lo inducevano a trovare «leffetto giusto», alle Cattedrali e le Ninfee, fu una strenua ricerca di tradurre in visione un sentire che pone la produzione tarda dellartista francese al limite della pittura figurativa.
Alcuni di quei dipinti facevano riflettere Kandinsky su come fosse possibile compiere un passaggio epocale, quello che lo avrebbe portato al primo acquerello astratto: dal mondo esterno proposto per analogia dimmagine alla visione mediata esplicitamente dallintelletto che ne modifica radicalmente i tratti, dal filo di fieno alla retta di natura geometrica.
Sulle pareti del foyer del Teatro Sala Umberto, nelle opere di Laura Barbarini, è tutto un trascorrere da un luogo allaltro come trascolorare. Lartista ripercorre di continuo quel momento della storia dellarte e del pensiero che è anche uno stato (e un moto) della coscienza.
In queste «Rappresentazioni», ununica natura è sempre sulla scena; alberi, erba, forse acqua, lontananze, e poi uomini e donne, anzi, presenze. Dunque paesaggi e figure, i temi restano gli stessi nel percorso dellartista, pur nel variare delle cromie e delle combinazioni possibili. In questo senso la sua pittura è come affacciarsi alle finestre di una casa immersa in un ambiente che cambia col variare della luce, delle stagioni, con la densità dellatmosfera, colto sempre un attimo prima della metamorfosi nel simbolo di se stesso. Peregrinando da una allaltra delle stanze immaginarie del mondo creativo della Barbarini cambia la vista e la prospettiva, ma non lo stato danimo, non lo sguardo onirico che, mentre cattura un brano di natura o un piccolo gruppo in conversazione, li muta in immagini visionarie.
Spesso le opere tendono al monocromo, a misurarsi con la possibilità di sviluppare la volumetria dei corpi facendoli emergere da un fondo tanto simile, tanto vicino alla loro carne e al loro sangue da restituirci lidea di una originaria creazione, del momento in cui qualcosa si separa da ciò che non le appartiene acquistando così unidentità.
In alcuni casi la concezione delle figure è più statuaria e anche la delineazione più marcata, ne consegue una maggiore vitalità, raramente un vero movimento. In altri le sagome appaiono quasi risparmiate sul fondo, in un gioco ottico con lo spettatore, che può pensare di guardare delle «assenze», dei posti lasciati improvvisamente vuoti e ancora non colmati dalla materia liquida in atto di cancellare ogni traccia. È quindi una pittura che anziché raccontare o suggerire un moto induce una lettura dinamica, insinua un dubbio.
Diversamente i paesaggi, pur mantenendo lo stesso rapporto tra vicino e lontano, la stessa tessitura delicata nei passaggi di colore calibrato attentamente, il medesimo silenzioso accordo interno, si propongono più immediatamente; linquietudine diventa innocente incertezza. La definizione è sufficiente per trovare nel quadro un appiglio per la memoria, linvenzione è misurata, trova con facilità la strada dellabbandono ai sensi, il risultato è che ci si lascia avvolgere da unatmosfera soffice come un abbraccio.
Con la mostra in corso prende lavvio un ciclo di esposizioni personali negli spazi rinnovati del teatro Sala Umberto ciascuna delle quali avrà inizio il giorno della prima degli spettacoli teatrali in cartellone.
Fino al 10 gennaio. Teatro Sala Umberto, via della mercede 50. Orari: martedì-sabato 11-20; domenica 14-20. Ingresso libero.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.