Politica

UN PAESE DI IMBALSAMATORI

Questo Paese deve avere da qualche parte sulla pelle una strana maledizione. Non si riesce a governare. Mai. C’è sempre un cavillo, una staffetta, un mal di pancia, un compleanno che spariglia le carte e lascia tutto nella melma. Il destino, per noi, è una risacca di fango che si lascia alle spalle solo detriti: aborti di riforme, leggi in putrefazione e un cimitero di occasioni perdute.

Non c’è nulla da fare, la democrazia da queste parti non è mai semplice. Non c’è uno che vince e poi governa. C’è sempre tutto il resto. Il nostro demone si chiama extrapolitica. È quasi una beffa. Berlusconi porta in Parlamento una maggioranza forte. Lo aspetta una sfida difficile. L’odore della crisi è già arrivato, e come si è visto dopo, sarà una tempesta maledetta. C’è tanta paura. Le aziende fanno i conti, le banche si accartocciano, la cassa integrazione è un paracadute fragile e tanta gente si aggrappa al posto di lavoro, con la paura di perderlo. Una notte di aprile la terra trema e una fetta di Abruzzo va giù. Quello che serve è un governo libero di governare, come si fa in democrazia, con un’opposizione dura, ma senza guerre civili di parole.

Senza questo clima da ultimo sangue. O noi o lui. Peccato, davvero basta un colpo di reni per tirarsi fuori da questa mucillagine. Sono anni e anni che si parla di riforme. Tutti dicono: sono necessarie. Questa volta tocca a Berlusconi, la prossima magari ai suoi avversari. È la democrazia. E invece no. La crisi, il terremoto, il futuro, tutto dimenticato. Si parla solo di Noemi. Noemi e le dieci domande. Noemi e Gino. Noemi e il fascismo delle veline. Noemi sussurri e grida. Il resto a marcire. L’opposizione, debole in Parlamento, in crisi di leadership, con un ex magistrato come capo popolo, si gioca alla vigilia di queste elezioni, tanto europee e tanto inutili, la spallata della disperazione. Far fuori Berlusconi con il veleno delle veline. Scusate, magari a voi tutto questo piace.

Magari vi divertite. Ma non chiamatela, per favore, politica. È la sfiducia del pettegolezzo. La maledizione resta lì, incantata e quasi non ci fai più caso. Non risparmia nessuno. Questo in fondo è il Paese dove ci siamo inventati i governi balneari, dove tutto è precario, provvisorio, c’è e non c’è. Non sorprende che ci siamo inventati il limbo e il purgatorio. Ci piace l’indefinito. Solo qui, da queste parti, è normale che dal 1961 venga finanziato un ente per la costruzione del ponte sullo Stretto. Quasi 50 anni e a Messina neppure una pietra. Assurdo. Uno o fa il ponte o cancella l’ente. No, neanche per sogno. È l’esaltazione del «non si sa mai». Si può governare in un Paese così? Qui Prodi è caduto per il dispettuccio di un pugno di deputati nostalgici del comunismo. E poi è andato a casa per i sussurri giudiziari della moglie di un ministro. Mai una crisi parlamentare seria, vera, sanguigna. Mai un voto di sfiducia su una riforma coraggiosa, di quelle che fanno la storia.

Qui i governi si ammazzano nel sottoscala. Vi ricordate? Craxi governa 2 anni, 11 mesi e 28 giorni e, bene o male, si becca i complimenti di mezzo mondo. È l’Italia degli anni ’80, quinta potenza economica del mondo, schiaffi a Sigonella, l’America che abbozza, qualcuno comincia a pensare sul serio a una riforma delle pensioni e del mercato del lavoro. Il governo Craxi finisce così, con De Mita che dice: staffetta. L’accordo era questo, il primo tempo tu, il secondo io. Gli allenatori di calcio si stanno ancora interrogando sul perché Mazzola e Rivera non potevano giocare insieme. Generazioni di politologi sono invece impazziti sulla staffetta Craxi-De Mita. Che razza di forma di governo è il masochismo? Tutto questo, naturalmente, non è gratis. L’Italia ingovernabile fa il gioco di troppa gente, quelli che temono il cambiamento, che vogliono tenerci nella palude, quelli che si tengono stretti i loro piccoli privilegi di bottega, le roccheforti meschine, che mangiano e bevono raccattando gli avanzi della storia. Sono quelli che da vent’anni, dalla caduta del Muro di Berlino, stanno nascosti in uno sgabuzzino, con il terrore che qualcuno si svegli e porti questa terra fuori dall’immobilismo.

Ogni volta che un governo cade, queste statue di sale fanno festa. Ma ora non c’è più tempo.

In questo Paese con il futuro a rate resta una sola speranza: imbalsamare gli imbalsamatori.

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