Il paese da reality che solo ora si stanca delle tv

Sono indignatissimi.L’hanno scritto sui muri,perché tutti sappiano: «Avetrana non è Hollywood». Il paesello del più atroce delitto post-Erika&Omar si ribella all’asse­dio dei camion-regia, delle parabole, dei cavi, dei rifletto­ri, delle telecamere e dei microfoni a bruciapelo. Non ne possono più del reality sottocasa, chiedono di tornare alla normalità.Dopo due mesi di carnevalate,vorrebbero spe­gnere l’interruttore con decisione repentina e unilaterale. Inutile specificarlo: purtroppo, la protesta è irricevibile. Per quanta insofferenza possano manifestare adesso, è comunque fuori tempo massimo. Le luci del set non si accendono e non si spengono a proprio piacimento. Han­no regole loro, che sfuggono al controllo della gente comu­ne. Quando metti la zampa nel tritacarne, la zampa ci re­sta. Però, che pretese. Improvvisamente cadono tutti dal pe­ro e riscoprono il piacere del borgo tranquillo. Sognano intimità e discrezione. Praticamente, sognano d’essere ciò che erano. Tutte uguali, queste cittadinanze italiane che salgono sul grande palco della cronaca. All’inizio è adrenalina pura. La comunità sembra scossa da un poten­te elettrochoc.

Le massaie escono dieci volte al giorno per fare la spesa, nella speranza che prima o poi un qualsiasi inviato di una qualsiasi televisione si decida a chiedere il parere. I ragazzini saltano la scuola. I pensionati giocano a scopa sbagliando le carte, perché la tensione è rivolta al primo microfono in arrivo. Vigili in divisa stirata, consiglie­ri e assessori sempre in municipio, fornaie e fruttivendole con la messa inpiega,amici e compagni d’asilo dei prota­gonisti che se la tirano come Bocchino fuori dai convegni. E poi loro, i grandiosi figuranti dello sfondo, uomini e don­ne, bellimbusti e lolite, aspiranti veline e sfaccendati pro­fessionali: tutti dietro all’inviato tv collegato in diretta.L’in­viato con la finta faccia da delitto efferato, loro che ridono contentoni,telefoninoall’orecchio e manina che fa ciao a quelli di casa... Sembra una bella festa, all’inizio, l’orribile delitto. Solo l’elegia di un«Sabato del villaggio»può rendere l’idea del­­l’eccitazione. Il villaggio che si è sempre sentito così distan­te, quasi inun’altra galassia,rispetto al centro del mondo, la televisione, improvvisamente realizza il sogno. Sente di esistere.E’ lastoriadi Maometto e della sua montagna:se loro non sono mai riusciti a finire in televisione, la televi­sione un giorno viene personalmente da loro. Fantastico. Come un virus che corrode l’anima. Due mesi dopo, si svegliano. Non hanno più voglia di giocare al totodelitto, «per me è innocente», «per me è sta­ta lei», «per me lui nasconde qualcosa». Vespa, Matrix, la D’Urso e Sposini, Mentana e Sottile, la Sciarelli e tutti quanti gli altri, i diabolici mandanti dell’odiosa Hollywo­od, di punto in bianco vengono a noia. La schiva gente del paesello si scandalizza e s’indigna, ma insomma, un po’ di rispetto. E partono le prime sberle ai cameramen, così, a titolo d’esempio: punirne uno per educarne cento.

E se continuano, che si dia una mossa il sindaco: cosa aspetta a sgomberare questo osceno circo equestre? Intanto scri­viamolo sui muri: basta, non siamo a Hollywood. Ciò che hanno appassionatamente costruito in due mesi, sotto la compiaciuta regia di un certo giornalismo effettivamente spudorato, vogliono smantellarlo in due minuti. Illusi. Ripensandoci, ad Avetrana tutto filava liscio fin quando c’era una belva sola e ben identificata, quello zio capace dell’indicibile.Poi però la cerchia si è allargata.E Sabrina, e i silenzi di sua madre. E i primi reportages sul tessuto sociale di un’intera comunità. Tante domande impiccio­ne, tanti giudizi carogna.D’altronde,funziona così.Il trita­carne gira. Mai mettere la zampa nel tritacarne. Ci resta la zampa. In tutto questo, emergono come scolpite su marmo le parole sommesse della discreta farmacista, pescata un giorno al termine del giro di opinioni: «Qui ormai non si parla più di Sara. Eppure questo è il fatto: una ragazzina così giovane è morta nel fiore degli anni. Le hanno portato via la vita,i sogni,il futuro.Chissà cos’avrebbe fatto,chissà chi sarebbe diventata. Non lo sapremo mai, è una cosa terribile...».

Senza scrivere sui muri, la brava farmacista riporta tutti alle loro responsabilità. Se quelli che fanno ciao con la ma­nina dietro all’inviato pensassero qualche volta a Sara, non ci sarebbe Hollywood. Avetrana sarebbe solo un luo­go di pietà. Dice niente questa parola?

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