Cultura e Spettacoli

Palanche d’autore "Ecco il mio 740"

Anticipi, royalties, gettoni di presenza, comparsate televisive. Ecco come e quanto incassa uno scrittore

Quanto guadagna uno scrittore, per esempio io? È più o meno quello che si è chiesto l’altro ieri l’assessore alla cultura di Milano Massimiliano Finazzer Flory alla presentazione della Milanesiana («I finanziamenti si riducono... sento parlare solo di tagli. Bisognerebbe pubblicare anche i cachet degli ospiti per trasparenza»). Premessa: dipende da cosa e perché si scrive. Se scrivi per vendere e vendi libri di denuncia sociale o in ogni caso romanzeria a buon mercato e ti va bene, guadagni abbastanza. Se scrivi per fare letteratura è più complicato, se non ti ingegni puoi anche patire la fame. Poiché pochi rientrano nel secondo caso, è più semplice fare i calcoli e posso parlare in prima persona, come nei miei romanzi.
Quantificando, se sei abbastanza strafottente e autoconsapevole e produci opere d’arte vere, in grado di suscitare timore estetico, puoi riuscire a farti dare da un editore quindicimila euro di anticipo o anche più. Forse non li riprenderà ma te li pagherà comunque per averti. Più, ovviamente, le solite royalties in genere dall’otto al dieci per cento. Nulla rispetto agli anni che hai trascorso a scrivere i tuoi libri. E senza contare che alcuni libri, all’inizio, li darai pressoché gratis, e non solo all’inizio. Il mio saggio su Proust l’ho pubblicato con Cooper per mille e cinquecento euro, non mi ci sarei pagato neppure una notte con la D’Addario. L’anticipo, pertanto, è sempre inversamente proporzionale alla qualità artistica, poiché un’opera d’arte spiazza gli orizzonti d’attesa quindi, quando vende, vende per sbaglio e nessuno si sa spiegare perché, come accadde a Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo. Antonio Moresco, che ha un modo di porsi fin troppo dimesso e ringrazia chi lo pubblica e perfino la Bignardi che lo invita equiparandolo al rapper Fabri Fibra, dalla Mondadori ha avuto seimila euro per oltre mille pagine e quindici anni di lavoro. Credo che abbia guadagnato più Valeria Parrella con un libro solo di me e Moresco con tutti i nostri romanzi. Isabella Santacroce compensa scrivendo canzoni per Gianna Nannini, per altri come me per fortuna esistono i giornali, con i quali collaborare e compensare gli introiti e farsi pagare quanto più possibile.
Se avete il colpo di culo di trovare chi riconosce il vostro valore di scrittore, come nel mio caso Feltri, può essere una zattera di salvataggio non da poco, ma sappiate che altrove possono pagarvi cinquanta euro lordi ad articolo, che io in genere in passato, pur con le pezze al culo, ho lasciato come mancia, mi costava di più accettarli. Naturalmente non ci sono contributi né Inps perché uno scrittore non è un impiegato e non pensa alla pensione, pensa a scrivere e al limite all’epitaffio da scrivere sulla tomba, cioè la propria bibliografia nuda e cruda e scheletrica.
Logico che uno, finché respira, debba rifarsi altrove, per esempio dove ti invitano e quando ti invitano, e per fortuna ogni tanto qualcuno è così lungimirante e masochista da volerti a ogni costo. Per una comparsata televisiva, se siete dei rompiscatole con una certa aura di mostruosità che promana da voi, dal vostro sguardo, potete chiedere due o tremila euro; per una presentazione o dibattito o convegno dipende, io per meno di mille e cinquecento euro non mi presento neppure a mia madre, tranne quando c’è da farlo gratis per una giusta causa, che non sarà certo un appello per la libertà di stampa. Due estati fa volevano farmi andare in Sardegna a parlare di «reality-book» con il critico Filippo La Porta per trecento euro, e non sapevo se essere più incazzato per la cifra o perché, per giustificarsi, mi hanno detto che La Porta ci andava, come se fosse La Porta di casa mia e dovesse fregarmene qualcosa di quanto prendeva per aprirsi in pubblico.
Se siete disposti, come quasi chiunque, ad andare in televisione e vi chiamano andateci, però insospettitevi il minimo che basta a non prenderci gusto: sappiate che vi stanno pagando perché hanno visto in voi qualcosa che c’entra nulla con la letteratura, e questo d’altra parte alimenta la vostra visibilità, ottenuta la quale sarete chiamati e di nuovo pagati. Il rischio della società dello spettacolo è che anziché essere visti come Massimiliano Parente veniate scambiati per Emanuele Tonon o qualsiasi altro opinionista televisivo, e allora tanto valeva essere Tonon fin dall’inizio.

In compenso ho appena mandato un mazzo di rose bianche a Barbara D’Urso per ringraziarla degli inviti alle sue trasmissioni, perché mi sono invaghito del suo chiamarmi «il mio amico scrittore» e oltretutto con questi tagli non si sa mai, e comunque sia anche le mie romantiche rose mi sono costate cento euro, e a qualcuno, prima o poi, dovrò pur farle pagare.

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