La riforma dei vitalizi allo studio di Camera e Senato penalizza i parlamentari al primo mandato, che finora potevano accedere alla pensione dopo appena due anni e mezzo. Se la legislatura dura meno di cinque anni non potranno più riscattare il tempo mancante alla fine di un quinquennio naturale e perderanno dunque il vitalizio. Anche con una legislatura di cinque anni, i «novizi» percepiranno comunque meno (il 20% dell’indennità e non più il 25%).
Ma per i parlamentari che superano due lustri da eletti ci sarà un piccolo premio: con dieci anni si avrà una pensione pari al 40% dell’indennità (ora è 38%), mentre con tre legislature, del 60% (ora è al 53%). Sarà comunque questo il tetto massimo dei vitalizi (ora si arriva fino all’80% con sei legislature). Su questo punto sembrano essere d’accordo sia alla Camera che al Senato, ma la discussione verte piuttosto sulla tempistica: rendere questa riforma immediata, cioè in vigore fin da questa legislatura (che rischia di non durare cinque anni) o dalla prossima? C’è chi azzarda, come Teodoro Buontempo (An), componente dell’ufficio di presidenza di Montecitorio, che la proposta di rendere subito esecutiva la riforma dei vitalizi sia un «favore, più o meno inconscio, a questo governo e questa maggioranza», perché i deputati neoeletti non avranno alcun interesse a far cadere la legislatura dal momento che, senza «riscatto», perderebbero automaticamente la pensione.
Ieri il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha invitato a «non lasciar cadere la proposta del vicepresidente Castagnetti di far valere già da questa legislatura» le nuove norme. In realtà il leader del Prc non avrebbe gradito le pressioni dal Senato sull’entrata in vigore immediata della riforma.
Non bisogna «cadere nell’antipolitica», ha comunque sottolineato Bertinotti in conferenza stampa, ma occorre intervenire su «questioni difficilmente comprensibili all’opinione pubblica». Ha poi rivendicato la «linea di sobrietà della Camera» e ha annunciato che la decisione verrà presa «prima della pausa estiva».
Per ora prosegue l’indagine conoscitiva della commissione Affari Costituzionali di Montecitorio sui costi della politica: ieri il questore Gabriele Albonetti (Ulivo) ha chiarito che un parlamentare italiano riceve «circa 14.
500 euro netti al mese», ma gliene rimangono in tasca 5-6mila, una retribuzione da «dirigente di classe bassa»: «Io - ha poi spiegato il questore - guadagno seimila euro netti al mese, perché ne verso la metà al mio partito; meno del mio medico di base, ma la gente dice che faccio un lavoro inutile». Ai giornalisti, ha confidato di voler trasformare la Camera «in un’azienda», con un collegio di revisori esterni. Al di là dei dati sui guadagni, Albonetti ha anticipato che la riforma dei vitalizi porterà un risparmio di 30-40 milioni di euro. Si conta poi di tagliare altri 2,6 milioni di euro accorpando alcuni uffici dislocati della Camera in un unico immobile e si farà economia anche sulla carta: rassegna stampa e convocazioni viaggeranno solo via mail, con un risparmio di altri 350mila euro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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