Il «palpamento concupiscente» dell’aria fritta

Caro Granzotto, mi faccia capire. Processo Mills, il perito di parte della procura di Milano non ha trovato riscontri, nei conti Fininvest, del passaggio (ipotetico) di 600mila dollari (o sterline, non ricordo), per comprare il silenzio dell’avvocato inglese, teste contro il Cavaliere. Eppure è stato condannato, persino in Cassazione (anche se poi è subentrata la prescrizione). Processo Mediatrade: Berlusconi avrebbe pagato tangenti a certo Agrama per comprare film Paramount e queste tangenti (o almeno parte di esse) sarebbero ritornate, sotto forma di regalie, a funzionari Fininvest incaricati di comprare tali diritti. Insomma il Berlusca sarebbe diventato, improvvisamente, il «Bertoldo» della situazione. Infine, processo Ruby: i così detti, o le così dette vittime, Ruby e i funzionari di polizia, non si costituiscono parte civile. Ma allora, su cosa si fonda, come si fa a mettere su un processo quando le così dette vittime dichiarano di non esserlo? Giuro, sono confuso, mi aiuti lei.
Milano

Presto fatto, caro Longobardi: quelli che lei elenca non sono processi nel senso tecnico: aula, banchi, giudici, accusa togata, difesa, bilancia, «La giustizia è uguale per tutti» in bella vista eccetera. Sono processi mediatici, cioè condotti dagli organi di informazione. Una idea che maturò al via dell’Armagheddon giudiziaria - lo «scossone» preannunciato da Massimo D’Alema - e il cui principio è questo: che ci importa se le accuse non reggono, se manca il reato, se non ci sono vittime, se scarseggiano le prove? Noi intanto incriminiamo e se poi finirà in un nulla di fatto sai chi se ne impippa. L’importante è che stampa e tivvù parlino del processo ed anzi, che siano loro e i loro «Stalin» a processare e infangare ben bene l’imputato Silvio Berlusconi. Dandogli magari anche del pappone che prostituisce schiere di educande. Se la calunnia è un venticello figuriamoci una incriminazione, ancorché campata in aria, caro Longobardi: è un tornado. Tenga presente che l’apparato ha poi sempre fatto affidamento sulla volontà del Cavaliere di non perdere tempo in Tribunale. Ciò che oscurava ancor più l’attività nelle aule di giustizia a tutto vantaggio dei riflettori del tribunale mediatico. E che, en passant, consentiva a tanti bravi «sinceri democratici» di sostenere che il Berlusca non vuole farsi processare. Ergo, è colpevole.
Ma ecco che quel demonio d’un Cavaliere ci ripensa e si dichiara pronto a presentarsi alle udienze. Un guaio, perché con lui in aula l’aula torna a essere il vero centro di interesse, altro che le articolesse degli «Stalin»; torna ad essere il palcoscenico laddove, per dirla ancora con il buon Andersen, re e regine sono nudi e nude. All’uscita dall’udienza per la faccenda Mediatrade, in un tripudio di folla, di microfoni e di telecamere Berlusconi ha rivelato urbi et orbi d’aver trascorso la mattinata a far niente, a perdere tempo ascoltando le deposizioni di due testimoni che ripetevano quanto letto, riletto e straletto sui quotidiani. Tempo sottratto ai suoi impegni di presidente del Consiglio, e non è che gliene manchino. Nessuno «Stalin» ardì smentirlo. E come avrebbe potuto, del resto? Questo per ora, caro Longobardi. Ne vedremo delle migliori e più spettacolari quando toccherà al caso Ruby. Col Cavaliere in versione predellino che racconterà col suo linguaggio informale quel che è successo in aula: il carico giudiziario della testimonianza di George Clooney, le domande poste dall’inquisitore a quelle che per l’accusa sono prostitute o prostituende, le analisi socio-filologiche del fenomeno chiamato bunga bunga, i gradi di intensità e dunque di colpevolezza del «palpamento concupiscente».

Il tutto portato alla luce del sole, in presa diretta da un Berlusca scatenato e che va sul velluto perché sicuro che sarà una risata a seppellire «l’impianto accusatorio», chi l’ha caparbiamente voluto e gli «Stalin» di complemento.
Paolo Granzotto

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