Panchine come Torri di Babele La Fifa dice no all’interprete

Riccardo Signori

nostro inviato a Hannover

Sarà un teatro. Nemmeno alfabeto muto. Vedrete gesticolare i tecnici come se la lingua fosse un optional e magari qualche giocatore grattarsi la crapa, come a dire: cosa sta dicendo? Sarebbero le comiche, se non fosse il campionato del mondo. E la Fifa non ha previsto che un ct non sappia parlare la stessa lingua dei suoi calciatori. Direte: semplice, basta portarsi un interprete in panchina. Vero, però la Fifa l’ha vietato. Vuole tutti poliglotti o tutti allineati sulla lingua madre sua che è l’inglese. Quattro allenatori non hanno gradito. Ma Blatter e soci sono un po’ sordi. O peggio.
Uno dei tecnici non è proprio l’ultimo arrivato: trattasi di Arthur Antunes de Coimbra, in arte Zico e ieri deve aver scoperto tutte le conseguenze dell’impedimento, visto il risultato del Giappone con l’Australia. Il problema esiste: lui non parla giapponese, i suoi giocatori non capiscono la lingua sua, che può essere portoghese ma anche italiano o spagnolo. Poi ce ne sono altri tre: Marcos Paquetà, brasiliano che allena l’Arabia Saudita, il croato Branko Ivankovic che guida l’Iran e Dick Advocaat, uno dei migliori olandesi d’esportazione, che allena la Corea del Sud.
Zico se n’è lamentato per primo, già nei giorni scorsi. Il suo traduttore di fiducia si chiama Kunihiro Suzuki, è un amico. «Ma soprattutto la mia ombra», dice lui. «Traduce le mie parole, la mia filosofia, i miei pensieri». Come perdere una parte di se stesso. E, in panchina dove servono efficacia immediata e rapidità nelle decisioni, è un brutto affare. Soprattutto perchè, ha ricordato Zico, la Fifa non ha negato gli interpreti nella fase di classificazione. Se così fosse stato, i tecnici si sarebbero allenati al problema e magari lo avrebbero risolto con qualche artificio. Così sono nudi sopra la panca e anche un po’ muti. La Fifa ha motivato l’ennesima strampalata decisione dicendo di voler limitare il numero delle persone sulla panchina per evitare le proteste. Ovvio che il problema calcistico e tecnico è lasciato nell’angolo delle cose dimenticate.
Allora che fare? Largo ai giocatori poliglotti, traduttori in campo. Zico si è affidato ad Alex Santos, il brasiliano nazionalizzato giapponese, che parla portoghese, e a Nakata che capisce l’italiano. Paquetà si affida ad Al Jaber, veterano della compagnia che parla portoghese. La Corea, almeno in questo, rimpiangerà Hiddink che conosceva coreano e olandese. Forse la sberla presa dal Messico, non sarà colpa del traduttore mancante ma Ivankovic avrà avuto il suo daffare.

I croati sono versatili nel parlare, gli iraniani hanno quattro giocatori che giocano all’estero, tre in Germania, e il tedesco può rappresentare il modo d’intendersi comune. Per tutti una sola alternativa: un corso accelerato di lingue e una bella protesta alla Fifa. Ma è più facile imparare le lingue in tre giorni che ottenere risultati dai cervelloni del calcio mondiale.

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