Roma - «Non sto insultando gratuitamente il Partito democratico: quando dico che sta mettendo in atto un comportamento tecnicamente eversivo, per sovvertire il risultato di un’elezione regolare, sono pronto a dimostrarlo anche in giudizio». Marco Pannella spiega di aver consultato anche i suoi avvocati, e che le pressioni del Pd (con il quale i radicali sono alleati, e del cui gruppo fanno parte i parlamentari pannelliani) per far dimettere il neo-eletto presidente della Vigilanza, Riccardo Villari, «configurano un reato punibile fino ai cinque anni», quello di attentato al funzionamento di organi costituzionali. E per impedire questo «comportamento delittuoso contro la virtù repubblicana» Pannella è pronto ad usare anche «le armi della non violenza» e ad attuare da oggi (previo parere dei suoi medici) «uno sciopero totale della fame e della sete» per «aiutare i garanti della legalità», a cominciare dal presidente della Repubblica.
Che c’entra Giorgio Napolitano, onorevole Pannella?
«Se per caso Villari si dovesse dimettere, come il suo partito lo invita a fare, si ritornerebbe alla situazione di caos precedente, e verrebbe lesa anche l’immagine del capo dello Stato, che un mese fa aveva parlato di “inderogabile obbligo costituzionale” cui il Parlamento doveva adempiere, sia sull’elezione del membro mancante della Consulta e sia sulla costituzione della commissione di Vigilanza».
Ma il Pd contesta proprio le modalità con cui Villari è stato eletto...
«Che questa contestazione, le accuse di tradimento e le minacce perché si dimetta vengano da un partito che si chiama “democratico” è paradossale e figlio di un riflesso stalinista, un atto di imperio da regime fascista. L’elezione di Villari è stata regolare, e grazie ad essa il Parlamento può rientrare nella legalità finora violata. La maggioranza, che per mesi ha avuto la massima responsabilità del boicottaggio dell’elezione del presidente, si è decisa a votare. E peraltro anche due parlamentari del Pd - e non certo il nostro Beltrandi che ha mostrato la sua scheda col nome di Orlando per evitare accuse di tradimento - hanno votato Villari, e a mio parere hanno fatto bene. Ora c’è un presidente eletto che va incoraggiato a mettersi immediatamente al lavoro, perché ha davanti a sé una serie di urgentissimi atti dovuti da compiere, recuperando mesi di ritardo che comportano costi altissimi».
Quali?
«Tra due settimane si vota in Abruzzo, e quelle elezioni - come quelle che si sono da poco svolte nella provincia di Trento - sono fuorilegge e rischiano di essere invalidate per la mancata applicazione della legge sulla par condicio: è proprio la Vigilanza, paralizzata da sei mesi, che deve varare i regolamenti applicativi, e non l’ha fatto. Spero che i presidenti delle Camere, che Villari consulterà nei prossimi giorni, si impegnino a dargli il sostegno necessario per accelerare questi atti dovuti».
Ha sbagliato il Pd ad insistere sul nome di Orlando?
«Il loro “o Orlando o morte” era tanto inopportuno quanto il “mai Orlando” della maggioranza. Che peraltro, sul giudice della Consulta, aveva alla fine accettato il no a Pecorella del Pd, facendo oltretutto una scelta più che dignitosa, per una volta, con la candidatura di Frigo. Orlando stesso credo si sia accorto che la battaglia sul suo nome era funzionale ad altre operazioni, e ha raccontato di aver dato a Di Pietro la disponibilità a fare un passo indietro».
A quale altra operazione era funzionale?
«Grazie all’alibi Orlando che paralizzava la Vigilanza, per sei mesi non ci sono state regole da rispettare, e c’è stata la messa a sacco dell’informazione pubblica e della Rai. Tanto da parte dei Gentiloni quanto dei Gasparri».
Questa vicenda rappresenta l’ennesimo prezzo che Veltroni paga all’alleanza con Di Pietro?
«È dalle elezioni di aprile, quando Veltroni ha deciso di consentire la presentazione delle liste dell’Italia dei Valori e ha portato a chi lo richiedeva lo scalpo di quelle radicali, che il leader del Pd ha fatto una scelta di grande avventatezza politica».
Come esce da questa vicenda il leader del Pd?
«Ne sta uscendo come prima, durante e dopo le elezioni: in modo mi pare non brillante.
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