Pantani in fuga sulle strade della Liguria

Pantani in fuga sulle strade della Liguria

«Sono stato umiliato per nulla, per quattro anni sono stato in tutti i tribunali: ho perso la mia voglia di essere, come tanti altri sportivi». Sono parole che gli inquirenti trovarono fra le pagine del passaporto di Marco Pantani nel residence Le Rose di Rimini il 14 febbraio 2004, tra le ultime ad avere un senso compiuto, cioè quello di testamento di un essere umano nella sua calante fiducia verso la vita. La madre Tonina, in questi giorni, si è detta d'accordo con lo spostamento dell'inchiesta dalla procura di Rimini a quella di Forlì, al fine di svelare gli ultimi mesi di sopravvivenza di suo figlio, a suo dire conditi da minacce di morte causate dalla volontà, giunta per lui intrattenibile, di scoperchiare il marcio ed arrugginito pentolone bollente del doping su due ruote. La notizia, a corollario delle sentenze di condanna attribuite a piccoli spacciatori e mezzefigure del sottobosco adriatico notturno, gatti e volpi dell'ultimo delirante e confuso Pantani, è fischiata atona alle orecchie delle ancora centinaia di migliaia di fans del Pirata, che in questi giorni compirebbe solamente 38 anni, e che forse avrebbero preferito calasse il silenzio sull'ultimo periodo del loro mito ed abbracciare i ricordi del vivido passato remoto.
La nostra regione, dalle ataviche tradizioni ciclistiche per qualità di eventi e numero di praticanti espressi, rappresentò ed a volte inciampò suo malgrado nelle varie fasi della vita del fuoriclasse più amato dai tempi del duopolio Coppi-Bartali e, all'unisono, immortalato nel pantheon del ciclismo mondiale.
Marco Pantani lasciò il segno dalle nostre parti per la prima volta nel 1995 quando il ciclista romagnolo, all'epoca ancora scarso crinito sulla ripida discesa verso la celebrità (fu secondo alla fine del Giro d'Italia dell'anno prima) firmò con lo strabiliante tempo di 21’56”, (che solamente otto anni dopo Gilberto Simoni limò di due secondi), il record del passo della Bocchetta, il valico dell'Appennino ligure posto a quota 772 m lungo la strada che collega Campomorone con Voltaggio e quindi la Val Polcevera con la Val di Lemme.
Il passo della Bocchetta, ancora oggi il punto di forza del Giro dell'Appennino, manifestazione creata e nutrita dall'Unione Sportiva Pontedecimo dal 1934, fu reso celebre da Fausto Coppi durante le sue memorabili scalate, tanto che sul valico è stata posta una stele, con l'effige del Campionissimo, in ricordo del suo ultimo traguardo tagliato da numero uno, nel 1955, evento che chiuse il cerchio della sua esistenza sportiva nata proprio alla Bocchetta nel 1938 .
La carriera strepitosa di quello che in seguito venne chiamato Il Pirata prese il volo con l'anno di grazia 1998 che rimarrà eterno per l'accoppiata Tour-Giro cui seguì la mai del tutto chiarita squalifica per doping in una tersa mattina di giugno all'Hotel Touring di Madonna di Campiglio nel 1999. Nel 2001, alle prese con una lenta ma speranzosa risalita, dopo la tappa del giro a Genova, in risposta ad alcune dichiarazioni di Eddy Merckx (detto Il cannibale, che trent'anni prima in canottiera bianca, piangente, steso sul letto della sua camera d'albergo a Savona zeppa di giornalisti, singhiozzava la sua squalifica per assunzione di come le chiamavano allora anfetamine, che gli negò un giro quasi finito di masticare), secondo il quale il ciclista italiano sarebbe tornato all'apice seguendo la sua personale parabola, Pantani quasi parlando ad alta voce con se stesso contravvenne: «Mi spiace, non tornerò mai più quello di prima. Ridiventerò competitivo, ma non sarò mai più quello di prima, perché ho subito una grandissima ingiustizia. Con le regole di adesso e con il tetto dell'emoglobina fissato a 17, sarei stato abbondantemente nelle norme, quel mattino a Campiglio. Con le leggi di adesso avrei già vinto due Giri d'Italia e sarei qui a lottare per il terzo».
Una puntualizzazione beffarda ma vera; dal 2000 infatti l'Uci modificò i criteri di controllo del sangue degli atleti affiancando al valore dell'ematocrito anche quello dell'emoglobina. Per l'uomo fu l'ennesima terribile ingiustizia.
Sempre nello stesso anno un Pirata già dipendente da pressoché qualsiasi stimolante chimico tentò un estremo ritorno alla sola gara che per lui si spolverasse ancora in un magnete irresistibile, il Giro d'Italia. Purtroppo quell'edizione invece di rappresentare l'ultima chance di riabbracciare la sola parte della sua vita che ancora gli interessasse, i suoi tifosi, rappresentò la più inerpicata di una carriera di salite ingollate.
Nella serata della tappa di Sanremo con Simoni già in maglia rosa con il titolo in tasca piombarono negli alberghi della corsa i Nas dei carabinieri che però a dire il vero trovarono poco o nulla, solo medicinali a restrizione d'uso, utilizzabili quindi solo dietro ricetta medica.
I concorrenti in fronte comune decisero di fermare il carrozzone della corsa riuscendo solo però a disertare la tappa del giorno successivo a S. Anna di Vinadio sulle montagne cuneesi, il tappone più atteso, dissuasi dagli organizzatori dal ben più bellicoso progetto di concludere il Giro d'Italia sui gradini del casinò
L'ultimo tentativo di riavere il signor Pantani Marco se non ad un buon agonismo quanto meno ad una sopravvivenza dignitosa e decente fu quello dell'autunno del 2003 quando la sua manager Manuela Rocchi decise insieme allo staff della sua ultima squadra, la Mercatone Uno Scanavino Valentini, di trovargli un appartamento a Lerici dove stimolarlo ad allenarsi sulla bicicletta ed a tenersi lontano dalle cattive compagnie che non vedevano l'ora di ronzagli attorno. Pantani rifiutò subito notando la tristezza dell'ambiente assolutamente contrario a dividere una casa con uno sconosciuto, come per lui era il mondo intero, seppur membro della sua squadra.
L'albergo Europa fu la capanna di Betlemme di quel triste Natale auspicio di un anno solo un poco assaporato e mai vissuto. Di lì a poco i carabinieri, ricorrenti metronomi degli ultimi anni di vita del campione, bussarono alla casa di Cesenatico, per consegnare un avviso di garanzia coniato a causa di una fiala di insulina sospetta trovata nella sua camera d'albergo a Montecatini in una delle tappe precedenti all'imputazione di Sanremo. Lui fece spallucce forse ancora speranzoso di pensare che Lerici fosse un purgatorio duro ma necessario ed utile.
Non fu così ed il grande atleta si trasformò nell'ombra della sua ruota di scorta, rimbalzando da una clinica all'altra, un viaggio a Cuba per incontrare Maradona allora grasso quanto lui, abbandonato da Christina Jonsson, la sua compagna storica che citerò solo una volta perché non imputabile della situazione oltre il limite della fine di un rapporto, dal suo sport, da sé stesso ed anche, per ultima, dalla qualità che lo rese celeberrimo.

La voglia di lottare.
Un giorno a chi gli chiese alla fine di una tappa stravinta in salita al tour de France 1998: «Marco, ma perché vai così forte in salita?» lui rispose laconico: «Lo faccio per abbreviare la mia agonia».

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