Arte

Paolo Conte agli Uffizi. "L'ultima delle mie vanità"

Abbiamo visto in anteprima i suoi disegni in mostra. L'"Autoritratto di un pirla" al fianco di Rubens e Guttuso

Paolo Conte agli Uffizi. "L'ultima delle mie vanità"

Che effetto vedere quel nome stampato lì, sui manifesti proprio a pochi metri da Palazzo Vecchio. Paolo Conte. La mostra. Si intitola Nostalgia di un golf, un dolcissimo golf di lana blu ed è difficile immaginarsi qualcosa di più piemontese, di più astigiano di un golf di lana blu che va bene con tutto, che ripara dal freddo e pure dalle malelingue o dai pettegolezzi perché quel colore è come una barriera, elegante sì ma pur sempre insormontabile.

Sarà in scena fino al 7 gennaio, c'è tempo, ma ne vale la pena perché qui c'è l'altro Conte, che non è Giorgio suo fratello ma Paolo il pittore «da ben prima di diventare musicista», quello che si eccita e si esalta componendo musica ma trova «calma e leggerezza» mentre pittura e disegna. Lo fa da quando era giovanissimo, lui praticante un po' avvocato ma molto svogliato in uno studio da notaio, prima che il fratello e la casualità lo convincessero di saper scrivere ben altro che le conclusionali di una causa civile. E allora c'è qualche brivido, qui alle Gallerie degli Uffizi, mentre si attraversano le due sale con i bozzetti e i disegni di Paolo Conte, quasi settanta, quasi tutti inediti, alcuni sorprendenti, altri rassicuranti, altri nostalgici. È la conferma, sia mai, che Paolo Conte è un genio non soltanto musicale, non è esclusivamente un compositore che ha fissato per sempre l'istantanea del jazz con le rotondità del Barbaresco, con la poesia di chi riconosce di essere soltanto un «can dha pajiee», un cane da pagliaio, ma sa scrivere canzoni che ti prendono e non ti mollano anche se diventi più vecchio, anche se cambi gusti, vita, persino paese o continente. Intanto sia chiaro: pochi altri artisti potrebbero permettersi di donare a uno dei musei più prestigiosi del mondo una propria opera intitolata Autoritratto di un pirla. Paolo Conte è tra questi. Se l'è fatto nel 1978 e si capisce dai suoi tratti che sono più morbidi e meno incanutiti ma poco importa. Conta che l'Autoritratto di un pirla sarà per sempre agli Uffizi di Firenze nella collezione che, come conferma il portavoce Tommaso Galligani, è la più antica e vasta al mondo, oltre 1800 autoritratti, da Raffaello a Guttuso al primo street artist degli Uffizi, il londinese Endless, e poi Rembrandt, Rubens e il quasi conterraneo dell'astigiano Paolo Conte, l'alessandrino Pellizza da Volpedo.

Perciò entrare nelle due sale con i disegni di Paolo Conte non è soltanto un viaggio nell'esistenza di un grande compositore, è proprio come ascoltare la sua musica, specialmente quella di Razmataz che non è soltanto un disco ma soprattutto «un vecchio sogno, figlio dei miei vizi capitali che sono la musica e la pittura, e figlio del mio insistente desiderio di mettere il naso nel gusto e nello spirito degli amati anni Venti». Ci sono gli anni Venti, nel suo stile, quelli del primo jazz, del charleston, della meraviglia per il treno e i viaggi fin dove fino a poco prima non si riusciva neppure a immaginare. «Questa è quasi certamente l'ultima delle vanità della mia vita», ha scritto ieri Paolo Conte nel messaggio che la sua fida Rita Allevato ha letto nell'Auditorium degli Uffizi. Lui, 87 anni a gennaio, non è venuto, è rimasto ad Asti a curare i postumi di una brutta infezione respiratoria, un malanno stagionale trascurato ma non trascurabile che ora richiede un po' di pausa dai concerti, dalle apparizioni, dai viaggi. Ma per viaggiare con Paolo Conte basta questa mostra, basta partire dal trombonista disegnato con piglio quasi autobiografico (il giovanissimo Paolo Conte era un trombonista che si esibiva nelle feste di paese) e passare dal «Diavolo rosso», ossia Giovanni Gerbi il ciclista sulla bicicletta rossa che sconvolse il parroco fino al treno di Razmataz che arriva a Parigi per iniziare una nuova avventura. C'è molto di Paolo Conte in questa galleria di disegni. C'è il tratto sensuale delle «sue» donne, viziose e malinconiche, come in Donna nuda con capelli rossi, ma c'è anche l'omaggio sterminato alla passione di una vita, il jazz, quello vero, quello delle origini. Negli anni Settanta Paolo Conte mette su carta gli strumenti del jazz, il pianoforte innanzitutto. Ma negli ultimi tempi ha fatto di più. Ha sublimato la passione. Ha messo su carta, quasi con segno astratto, le sensazioni che gli derivano dall'ascolto di Jelly Roll Morton o di Bunny Berigan. Di più. Si è fatto ispirare anche dalla lettura dei Canti Orfici di Dino Campana e de Les fleurs du mal di Baudelaire o dall'ascolto di Lullaby di George Gershwin. Sono disegni secchi, schematici, asciutti. Il distillato puro di una sensazione.

«La forza di Paolo Conte è di saper mescolare tanti linguaggi» spiega la curatrice della mostra, la storica dell'arte contemporanea Chiara Toti, passando da un disegno all'altro, da una atmosfera all'altra. Ci sono opere quasi scherzose come quella che raffigura il tizio che «crede di essere Michelangelo senza barba». Ma ci sono veri e propri processi artistici come quei tre disegni che mostrano «l'assoluto e gli arrangiamenti», ossia un disegno originale che poi viene fotocopiato e ricolorato con tinte diverse. Dopotutto Paolo Conte è questa cosa qui, un geniaccio fuori dal tempo che si eccita per la composizione musicale ma si placa nel disegno. Come altri artisti, ad esempio Battiato, non è stato in grado di far assorbire tutto il proprio talento soltanto dalla musica. Ha sempre dipinto, talvolta furiosamente, talaltra dolcemente. Ma è sempre riuscito a mescolare le tecniche, ad alternare «figurazione e astrazione» con tratti veloci, persino espressionisti. Il mondo che piace a Paolo Conte è quello degli anni Venti «ma anche quello dei Dieci o dei Trenta di Massimo Campigli che ritrae solo donne», insomma quello che ha dato vita al Novecento nei suoi lati belli e in quelli meno belli e che poi è finito nei suoi dischi, nei suoi concerti, persino nelle sue posture e nei suoi gesti.

Ancora oggi a 86 anni e rotti Paolo Conte è un simbolo del Novecento fuori dalle ideologie e dai partiti ma con i piedi e l'ispirazione che dall'avanguardia è passata per il jazz fino all'astrazione trovando uno stile tuttora inimitabile. E lo dimostra anche nell'Original Coffee Table Book che esce per Feltrinelli, «un libro di miei disegni intervallati da qualche aforisma e qualche titolo curioso». E poi: «Spero che gli appassionati comprino questo mio libro d'arte, lo tengano in bella mostra nelle loro case, facendo attenzione che non ci cada su neanche una goccia di caffè». Spiritoso. Visionario. Fuori dal tempo.

Puro Paolo Conte, insomma.

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