Paolo Pini, da manicomio a museo d’arte

Sono ancora imponenti le mura che circondano il parco dell'ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, ma ormai, non fanno più paura. Fino al 1992 dividevano il manicomio dal resto del mondo: dentro i pazienti, fuori gli altri cittadini. «Quei matti non li vedevamo mai, qui non potevamo entrare» racconta un anziano che passeggia nel parco. Quando nel 1992 il Governo non ha più ammesso ritardi all'attuazione della legge Basaglia che imponeva la chiusura dei manicomi, gli ex pazienti sono stati trasferiti altrove lasciando in eredità un sogno che ancora oggi sa di follia: ridare valore, insieme, sia alle persone malate, che ai 300.000 metri quadri nella periferia nord-ovest di Milano, rimasti vuoti. Così da luogo di esclusione, il Pini è diventato un centro di accoglienza. «La nostra impresa sociale ha due obiettivi - spiega lo psichiatra Thomas Emmenegger, presidente della cooperativa Olinda, motore del progetto -: costruire le condizioni perché le persone che soffrono di disturbi psichici possano vivere giorno per giorno un'esistenza normale, e rendere questo luogo un punto di riferimento per i residenti. Di sera è tutto chiuso, nessuno esce perché ha paura. Noi vogliamo offrire un'alternativa». Tre i filoni per realizzare questo progetto ambizioso: la ristorazione, il settore alberghiero e la cultura. Attività diverse legate da un comune denominatore: «un lavoro qualificante. Perché la miglior terapia per i malati è tessere rapporti con le persone e svolgere attività gratificanti inserite in un progetto per il futuro». Un esempio? Andrea lavora al bar Jodok, mentre lui serve i caffè, Chiara prende le ordinazioni ai tavoli del ristorante e Camilla prepara i piatti. I nomi sono di fantasia ma loro no. Sono tre dei quindici lavoratori sociali di Olinda: chi lavora al bar, chi al ristorante e chi nell'ostello. Venti camere ricavate dall'ex convitto delle suore, una struttura che ogni anno ospita viaggiatori da tutto il mondo e qualche ex paziente che «vive un percorso di reinserimento lavorativo». Da dieci anni i milanesi hanno cominciato a conoscere queste attività grazie alla rassegna culturale Da vicino nessuno è normale. «Avremmo potuto raccontare il nostro progetto attraverso libri, ma portare la gente a teatro - rivela la responsabile del Festival Rosita Volani - ci è sembrato il miglior modo per comunicare».

Dieci anni di conquiste però, non hanno ancora frenato l'entusiasmo del dottor Emmenegger: «Fra pochi mesi cominceranno i lavori di ristrutturazione della vecchia mensa per dare spazio all'arte durante tutto l'anno. E poi una grande sfida: spostare l'ostello nella vecchia lavanderia, un edificio fatiscente di proprietà dell'Asl, ed organizzare un hotel tre stelle al posto dell'attuale ostello».

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