Di Arese non ne vogliono sentir parlare. Lipotesi di trasferire le loro attività in un capannone costruito ad hoc, di 70mila metri quadrati, non gli va giù. I grossisti di Chinatown respingono al mittente la delocalizzazione nellex area industriale a nord di Milano. «In Paolo Sarpi stiamo benissimo, non abbiamo alcuna intenzione di spostarci. Per lavorare, noi, dobbiamo restare in centro»: ecco il leit-motiv che finisce sul taccuino del cronista. Annotazione con avvertenza inclusa, «non prendiamo in considerazione soluzioni imposte dallalto ovvero non condivise».
Messaggio inequivocabile da quelli che il 12 aprile parteciparono o comunque condivisero i disordini di Chinatown. E mentre Angelo Ou, portavoce del console, fa sapere che «una location può essere presa in esame ma limitatamente a nuove attività e non certo per trasferire quelle esistenti», nel quadrilatero del quartiere cinese cè chi preannuncia nuove iniziative di piazza «perché per avere questi negozi abbiamo speso molti soldi, tra buonuscita e investimenti».
Possibile dunque una protesta nel nome dellinvestimento immobiliare, con tanto di denuncia di una presunta e non ben chiara «speculazione edilizia» che sarebbe dietro la volontà di spingere i grossisti in quel di Arese. Tesi che limprenditore Luigi Sun condisce, carta alla mano, con impedimenti di natura viabilistica: «Arese è troppo lontano da Milano, mal collegato e persino troppo piccolo per ospitare Chinatown».
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