Paolo VI, il ricordo di Tettamanzi

Tra qualche settimana, saranno trascorsi trent’anni dalla morte, avvenuta nell’afa di Castelgandolfo, la sera di una domenica d’agosto del 1978 in solitudine. Se n’era andato in punta di piedi Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI, il timoniere del Vaticano II, l’uomo chiamato a guidare la Chiesa nell’epoca della contestazione, il pastore che ha attuato le riforme conciliari ma ha evitato pericolose sbandate, il Pontefice del dialogo con la modernità. Schiacciato tra le due grandi figure dell’immediato predecessore, il beato Giovanni XXIII, e del successore Giovanni Paolo II (dopo il brevissimo regno di Papa Luciani), il Pontefice bresciano viene spesso ricordato come l’uomo del dubbio e della tristezza: «Paolo mesto», lo ribattezzò qualcuno, sottolineandone le angosce. E c’è chi lo ricorda come l’uomo delle infinite mediazioni, della «scelta religiosa».

In realtà la sua figura poco si adatta al cliché precostituito: non solo Paolo VI è l’unico Papa ad aver dedicato un’esortazione apostolica alla gioia, ma ha anche dato impulso alla missione della Chiesa, ha difeso la tradizione ogni qual volta la vide minacciata (anche intervenendo d’autorità (...)

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