Il papà di Tommy: non sono un mostro

Il papà di Tommy: non sono un mostro

Andrea Acquarone

nostro inviato a Parma

Due settimane di angoscia, di solitudine di fronte a un seggiolone vuoto, di sussulti di speranza rotti dalla delusione e dai colpi di scena infamanti.
C'è un bimbo sparito da casa, un frugoletto di diciassette mesi coi ricci castani e gli occhi illuminati di chiaro, ma i più sembrano essersene dimenticati. Ormai si parla solo della sua famiglia, dei presunti vizi e degli altrettanto strani affari di quel suo papà direttore delle Poste, con le spalle larghe e la barba incolta. Si spia e si fruga in quella che, chiusa adesso dai sigilli, era la sua casa a Casalbaroncolo. Si scruta quella donna vicino a lui così piccina e apparentemente indifesa, la moglie, e la si guarda con occhio scettico. Se lui sa qualcosa, possibile che lei non sapesse? Sembra questo il teorema degli investigatori.
Paola e Paolo Onofri, che nonostante tutto e tutti, che a dispetto dei sospetti e delle diffidenze che schiacciano peggio dei macigni, continuano a camminare fianco a fianco guardando in faccia il resto della città. E ieri dopo colazione, andando in questura (mezz'ora di nuovo nelle mani dei poliziotti della mobile) hanno deciso di rispondere. Inutile far finta di nulla, tutti sanno che su Paolo Onofri pesa un'accusa di pedopornografia. Lui prova a spazzarla via. Senza gridare, senza arrabbiarsi. Ad altri i nervi sarebbero già saltati. Lui è granitico: «Non sono un mostro», spiega dai finestrini della sua bella jeep grigia. La moglie seduta accanto annuisce dietro gli occhiali scuri: «Fra me e mia moglie non c’è assolutamente nulla che non va - afferma lui -. Un litigio tra noi durante i rilievi dei Ris? Assolutamente no: è stato solo un momento di sconforto, dovuto a un crollo di nervi». Entrambi hanno il volto tirato, ma sarebbe meglio dire estenuato. Quarantasei e quarantatré anni, rispettivamente, oggi ne dimostrano molti di più.
«Sulla storia della cantina ritrovata in via Jacchia - prosegue l'ormai ex direttore del più grosso ufficio postale di Parma (non è chiaro se sia stato sospeso o si trovi in aspettativa, ndr) sono state costruite un sacco di fantasie. Quella è diventata la cantina del mostro. Là dentro, a parte un computer che non funzionava neanche, credo che non troveranno nient'altro. Anzi la maggior parte delle cose che avevamo ammassato nel locale le aveva messe mia moglie. Che ha sempre saputo dell'esistenza di questo posto».
Insomma sui tanti dubbi nati attorno a questa camera blindata da una porta d'acciaio e due pesanti serrature, con tanto di spioncino e sistema di allarme, non ci sarebbe alcun mistero. Nulla di tutto ciò che si è azzardato, ovvero il luogo dei vizi proibiti. «La cantina era stata acquistata - spiega ancora il papà di Tommaso - quando abitavamo in un piccolo appartamento a Parma, senza cantina e senza un garage. In casa vivevamo in quattro e non avevamo abbastanza spazio. L'estate scorsa ci siamo trasferiti, abbiamo acquistato a Casalbaroncolo e la cantina è rimasta. Tra l'altro io ero già in contatto per venderla. All'interno ci sono i vecchi mobili dismessi della sala da pranzo che avevo prima e il mio materiale, le mie riviste di Quattroruote, i miei modellini, i miei francobolli. Tutte quelle cose che in casa non ci stavano e che io contavo di portare a Casalbaroncolo, non appena terminato di sistemare la casa, che ancora non è completa».
Poi torna ai momenti del rapimento di questo suo bambino attorno a cui la mancanza di notizie fa più rumore di una bomba. «L'obiettivo principale - prosegue Onofri - credo che sia riportarlo a casa. Come è andata lo so, ero là quando se lo sono preso, quali siano le cause assolutamente non lo so». In Procura invece il pm Paolo Errede interroga intanto un testimone. È un impiegato dell'ufficio postale di via Montebello. È la seconda volta che viene ascoltato, si parla ancora di conti, di libretti intestati ai detenuti del carcere di Parma, di somme di denaro, passate e subito misteriosamente sparite dal conto del suo direttore. Dura due ore e mezzo l'incontro. L'avvocato degli Onofri, Claudia Pezzoni, aveva già trascorso un paio d'ore, prima di lui, col procuratore. Non più come persona informata dei fatti ma come legale della famiglia. Duplice veste la sua: Onofri è indagato per pedopornografia, lei lo difende. Ma l'uomo, in quanto padre del bimbo «rubato» è anche, e soprattutto, parte offesa.
Intanto le indagini proseguono. I vertici dello Sco sembrano aver lasciato il passo al lavoro dei carabinieri, questo pool eterogeneo di investigatori che giorno dopo giorno sembra imboccare strade diverse. Che spesso si scontrano tra loro. I Ris continuano coi loro esami di laboratorio sempre più infiniti, la polizia invece si catapulta tra perquisizioni e controlli incrociati.

Ieri, per tutta la mattina, è toccato a Francesca Traina, l'ex moglie di Paolo Onofri. Gli agenti hanno bussato alla sua casa di Basilica Nova. Perché non si capisce. Si sa solo che l'incontro è durato parecchio.
Andrea Acquarone

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