Roma «Il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione». Ieri in visita al carcere di Rebibbia, dove erano stati in passato Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, Benedetto XVI è stato molto chiaro: «Cè un abisso tra la realtà carceraria reale e quella pensata dalla legge, che prevede come elemento fondamentale la funzione rieducatrice della pena e il rispetto dei diritti e della dignità delle persone». Una denuncia di cui si è fatta interprete, nel suo breve discorso di saluto, anche la neo ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha letto al Papa la lettera di un detenuto di Cagliari, scritta per lamentare lo stesso disagio. «La custodia cautelare in carcere deve essere disciplinata in modo tale da rappresentare una misura veramente eccezionale», ha poi affermato il ministro assicurando il proprio impegno affinché nelle carceri si possano «coniugare entrambi i valori posti dalla Costituzione a fondamento di ogni sanzione: la riparazione e la rieducazione». Lauspicio del Pontefice è che si possa «promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione». Benedetto XVI non è andato oltre, ma i detenuti hanno salutato queste aperture gridando: «amnistia, amnistia».
Il cappellano del carcere don Piersandro ha ricordato al Papa: «Hanno compiuto azioni orrende e provocato tragedie spesso insanabili, ma restano figli di Dio, bisognosi di consolazione e di amore, e sperano di essere considerati e chiamati nostri fratelli e nostre sorelle. A nome mio e di tutti i detenuti - ha continuato il sacerdote - chiedo perdono per le nostre colpe e per le sofferenze inflitte agli altri, vorremmo poter ricomporre le rotture, le separazioni che abbiamo provocato. Ma non vogliamo però essere sempre identificati con le nostre azioni sbagliate».
E il tema dellesclusione è stato al centro del dialogo tra il Papa e i detenuti che affollavano la cappella del carcere, intitolata a «Dio, Padre Nostro». «Si parla in modo feroce di voi, purtroppo è vero - ha detto il pontefice - ma parlano in modo feroce anche contro il Papa, e tuttavia andiamo avanti».
A nome dei «malati e sieropositivi», un uomo ha chiesto «al nostro Papa gravato da tutte le sofferenze del mondo, che preghi e porti la nostra voce dove non viene sentita». «È questa la ragione principale che mi rende felice di essere qui», ha continuato Joseph Ratzinger spiegando di essere lì «per pregare, dialogare e ascoltare». «Vorrei potermi mettere in ascolto della vicenda personale di ciascuno, ma non mi è possibile; sono venuto però a dirvi semplicemente che Dio vi ama di un amore infinito», ha confidato.
«È importante che il padre possa tenere in braccio la figlia e essere con la moglie e la figlia e così anche collaborare per il futuro dellItalia», ha poi risposto a un altro detenuto che gli chiedeva se fosse giusto rimanere a lungo lontani dalla propria famiglia.
«Anche io ti voglio bene e sono grato per queste parole che toccano il mio cuore», ha detto invece a un carcerato che avrebbe voluto fargli «milioni di domande» e alla fine è riuscito solo a ringraziarlo per la sua visita a Rebibbia. Sono state in tutto sei le domande, tutte molto commoventi e davvero significative. «Mi assolverebbe, o sarebbe una assoluzione di diverso valore, quale sarebbe la differenza?», gli ha chiesto un altro detenuto.
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