Cronache

Il Papa e la pazienza

Il Papa e la pazienza

Prosegue il dibattito sulle figure di Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI e proseguono le espressioni di sentimenti di un nostro lettore che ha già avuto occasione di dichiararsi ateo e a cui continua a far difetto la concisione. Le ospitiamo volentieri in questa pagina dedicata alla santità.

Caro Lussana rispondo brevemente suo tramite al signor Olimpio e alla signora Iris, intervenuti il 14 maggio, sul preteso mancato rispetto nei confronti di Giovanni Paolo II.
Il primo fa dell’ironia a buon mercato e lascio che si goda l’aria di Courmayeur. La seconda (le sarebbe spettato il primo posto, ma ho seguito l’ordine di stampa) sembra afflitta da grave ipocondria per la mia - a suo parere - scarsa riverenza nei confronti del «tanto amato Santo Padre». La gentile signora Iris, è liberissima di «traspondere» chi vuole e dove vuole. Ci mancherebbe altro! Ma il fatto è che essendo io totalmente privo di quella fede che pervade gioiosamente voi credenti, non anelo a felicità alcuna, come la signora «forse» desidererebbe.
Secondo la mia visione delle cose, la felicità, terrena o celeste che sia, non esiste. E neppure esiste alcuna divinità che la prometta. La mia interlocutrice comprenderà che per chi non accetta, diciamo così, il vertice, è assai difficile riconoscere le pretese preclare virtù di tutto ciò che da tale vertice viene fatto discendere; uomini e cose. Per cui, tutte le manifestazioni e i personaggi ecclesiali che suscitano tanto trambusto mediatico, vengono da me considerati con la più assoluta indifferenza. Valutare ciò «mancanza di rispetto» mi sembra un’interpretazione un po’ tirata per i capelli.
Per quanto riguarda la sua nota del 10 maggio, so bene che sui giornali lo spazio è tiranno, ma l’auspicata sintesi spesso rischia di fare velo alla chiarezza dei concetti. Comunque mi scuso per aver azzardato l’ipotesi di volontà di censura.

Caro Lussana, le considerazioni da me fatte sul pontefice defunto non avevano nessuna volontà denigratoria verso la persona. Esse rappresentavano semplicemente una critica nei confronti del capo di un credo religioso da me non condiviso. Le invio le seguenti osservazioni sulla congiuntura socio-politico-religiosa d’inizio secolo, buttate giù subito dopo la scomparsa di Giovanni Paolo II.
Il primo accesso ce lo offre la cronaca attuale (marzo-aprile 2005), sull’ultimo periodo della vita di papa Giovanni Paolo II. Quanto abbiamo visto e udito in occasione della malattia, dell’agonia, della morte e dei successivi funerali del papa, denota fortemente la caduta di stile, anzi, il degrado dei costumi, riflesso dal diffondersi inarrestabile di quella che può definirsi la brutale, volgare, nonché superficiale, diffusione mediatica dei fatti e delle notizie. In un tempo neppure tanto lontano, le pratiche e le manifestazoini erano molto più controllate ma diremmo anche, assai più regolate dalla morigeratezza del vivere civile. La cronaca di certi accadimenti era diffusa con grande circospezione; si potrebbe dire soffusa di rispetto e laconica prudenza.
Ventisette anni fa, in occasione dell’elezione al soglio del cardinale Wojtyla, il mezzo televisivo era diffuso già da moltissimo tempo, ma non impazzava ancora come avrebbe preso a fare nel corso degli anni successivi. Viene da chiedersi quale sia il cui prodest del martellamento attualmente in uso per la diffusione delle notizie. Si direbbe che l’ordine di servizio diffuso tra i giornalisti televisivi nostrani, sia quello di stordire il pubblico sulla falsariga degli spot pubblicitari, ripetuti ad alto volume sonoro più volte nel giro di pochissimi minuti, quando non di secondi. Probabilmente i registi televisivi pensano che il pubblico sia talmente affamato d’immagini, da non accorgersi che nel corso della medesima trasmissione - che loro chiamano «servizio» - vengono inseriti varie volte gli stessi spezzoni di filmati già precedentemente diffusi. Invece la gente meno sprovveduta si disgusta, si infastidisce e spegne il televisore.
Quanto ai commenti verbali, tutto potrebbe essere riferito in pochi minuti e invece si tira avanti per ore... Quanto alla marea di gente, la definizione di «pellegrini» risulta fuori luogo. Basta guardarli. A tutto assomigliano tranne a quella categoria di credenti che in epoca medioevale, ed anche in tempi successivi, percorrevano la cossidetta via francigena per raggiungere Roma. Oggi tale consuetudine è superata e in occasioni eccezionali come per il Giubileo, Roma si satura di gente che la raggiunge in aereo, in Eurostar o in pullman dotati di bar, televisione e toilette; fa le visite nei luoghi deputati per il culto, lasciando dappertutto montagne di pattume e se ne riparte dopo 48/72 ore di permanenza che definire selvaggia spesso non rende giustizia all’impatto brutale che la città è costretta a subire.
Qualcosa di simile è accaduto per i funerali del papa. Ma quello che a mio avviso in tale occasione ha disturbato di più, è stato l’atteggiamento chiassoso, irrispettoso, si direbbe allegro, dei moltissimi giovani con i loro cori da stadio, le loro chitarre, i loro slogan cantilenati e scritti.
Si diceva del cattivo gusto. Come definire diversamente l’insistere delle zummate sulla figura dolente del papa alla finestra del secondo piano del palazzo apostolico, o sul tronetto posto al centro del sagrato, o nell’aula Nervi, con quei primi piani sulla mano afflitta dal tremito del Parkinson o sulla deformazione labiale che non riesce più a trattenere la saliva?
Ma tutto ciò è ormai archiviato. Concludo affermando che trovo il neo eletto Benedetto XVI personaggio assai accattivante, soprattutto per quel suo simpaticissimo linguaggio italiano espresso con intonazione inconfondibilmente teutonica.

Ma riguardo alla sua funzione, azzardo la seguente locuzione latina: Usque tandem papam (pro tempore) sanctae romanae ecclesiae, abusavit patentia nostra? (Chiedo venia per i possibli errori, ma le mie reminiscenze scolastiche non mi consentono citazioni letterarie più evolute).
Mezzanego

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