
Perché un economista di scuola austriaca molto stimato come Philipp Bagus, autore dieci anni fa di un formidabile volume in difesa della deflazione, ha scritto ora un libro (L'era di Milei, uscito in italiano per Ibl Libri, pagg. 202, euro 18) al fine di spiegare cosa sta succedendo in Argentina e perché anche in Europa non si dovrebbe sottovalutare la vicenda? La domanda merita una risposta se si vuole comprendere il senso di questa pubblicazione.
Bisogna infatti partire da un dato, su cui l'autore insiste nel suo scritto, e cioè che nel novembre del 2023 a Buenos Aires è accaduto l'impensabile. Dopo una battaglia politica tutto sommato piuttosto breve (Milei è sceso in politica soltanto nel 2021) gli argentini hanno eletto presidente non soltanto un uomo che detesta lo Stato, la politica e gli apparati pubblici, ma che si propone di dissolvere il potere stesso. In un certo senso, lo Stato ha generato al suo interno un nemico spietato e questo apparente paradosso va indubbiamente esaminato nel dettaglio e, per quanto è possibile, compreso.
È evidente che uno dei motivi del successo di Milei sia stato il completo fallimento del socialismo e di ogni forma di intervento statale in America latina, in generale, e in Argentina, in particolare. Le nuove generazioni sono impoverite e senza prospettive: per questo hanno ritenuto razionale scommettere su quello che i suoi nemici hanno ribattezzato "el loco" (il matto). E forse in Europa una prospettiva libertaria sarà più realistica quando il declino che già conosciamo conoscerà un'accelerazione. Oggi gli europei sono soltanto sfiduciati; gli argentini, invece, sono profondamente arrabbiati e disgustati. Non è la stessa cosa.
Il "paradosso Milei" si basa su una contraddizione e, magari, su un imbroglio? Che senso ha che un candidato parli dello Stato come della "mafia più potente e spietata" e poi si candidi alla presidenza di questa organizzazione, per usare con disinvoltura tutti i poteri di cui dispone un presidente? Il paradosso non è contraddizione per una ragione assai semplice: perché Milei sta progressivamente smantellando lo Stato, riducendo il controllo che l'apparato politico-burocratico esercita sui cittadini, eliminando ministeri e licenziando funzionari.
L'orizzonte di Milei era e rimane tuttora l'anarco-capitalismo, ossia una società in cui nessuno sia autorizzato a disporre del prossimo. Una società con tante istituzioni (dalla proprietà al contratto, dalla famiglia al condominio), ma senza lo Stato. La strategia che l'economista argentino ha adottato, però, consiste nel fare tutto il possibile per dissolvere uno dopo l'altro, grazie al ruolo conseguito politicamente, i singoli apparati componenti su cui poggia il potere statale.
Bagus evidenzia come grazie a quanto sta avvenendo in Argentina l'intero mondo latino-americano stia conoscendo cambiamenti rilevanti. Non a caso in Cile un amico di Milei, Johannes Kaiser, con il suo Partido Nacional Libertario sta crescendo a vista d'occhio nei sondaggi, mentre in Honduras è nata Prospera, un'enclave privatizzata ispirata ai principi libertari, che vuole funzionare in piena autonomia dallo Stato.
In sostanza, le tesi più avverse alla sovranità e allo statalismo stanno sfondando proprio nella parte d'Occidente più povera e senza speranze: dove più pervasiva è stata la presenza di politici e burocrati, più stretto l'intreccio tra governo e imprese, più significativa l'influenza delle idee marxiste (perfino entro la Chiesa: basti pensare alla teologia della liberazione).
I problemi che oggi l'Argentina deve affrontare sono enormi, ma le cose stanno andando nella giusta direzione. In fondo bastava poco per ridare fiducia a chi vuole fare e intraprendere; e le scelte di Milei hanno lanciato un segnale chiaro inducendo molti a investire e impegnarsi, così da porre le premesse per quella che è già una vera e propria rinascita.
Esaminando il "miracolo economico" argentino l'economista Bagus (che insegna in Spagna, ma è tedesco) comprensibilmente ricorda quanto avvenne in Germania al tempo di Ludwig Erhard e di quella liberalizzazione dei prezzi che pose le basi per la ricostruzione industriale, economica e perfino morale del Paese. In Argentina, però, le riforme sono ben più radicali e la vera particolarità della rivoluzione di Milei sta nel fatto che egli "ha annunciato queste riforme durante la campagna elettorale ed è stato eletto per metterle in atto".
Tale differenza rinvia a una questione che Bagus esamina con attenzione: l'importanza che Milei attribuisce alla battaglia culturale contro lo statalismo e, in particolare, contro l'alleanza (tanto evidente nell'America del Sud) tra progressisti e marxisti, tra tecnocrati e socialisti.
Perché Milei può piacere oppure no, ma certo è un uomo di principi; ed è un presidente che sta seriamente facendo il possibile per dissolvere i poteri dello Stato dopo avere detto agli elettori che si candidava esattamente per questo. Sarà magari un paradosso, non è detto che non produca risultati tanto sorprendenti quanto benefici.