Paragone si è ripreso «L’ultima parola»

A farcelo piacere basterebbero già quelli a cui non piace. In più c’è dell’altro. A trentotto anni (saranno trentanove il 7 agosto), Gianluigi Paragone è stato direttore di Rete 55 (un’emittente locale della provincia di Varese), direttore del quotidiano La Padania, direttore di Libero ad interim, dal primo al tredici agosto del 2009 durante l’avvicendamento di Feltri-Belpietro, è vicedirettore della seconda rete e conduttore de L’ultima parola (venerdì, Raidue, seconda serata), dopo l’esperienza di un altro talk politico: Malpensa Italia. E quest’anno, alla fine, il suo programma, è stato il contenitore di alcuni tra i più significativi tsunami politici (l’ultimo, in ordine di tempo, la lite tra Maurizio Lupi, Italo Bocchino e Adolfo Urso). Con buona pace dei suoi tanti detrattori. Di titoli su Paragone e sulla sua Ultima parola, sono stati costretti tutti a farne tanti. Lo guardavano perplessi, all’inizio. Il parterre faticava a comporsi, tra il pubblico c’erano rubizzi dalle cravatte verde Lega, gli interventi dei partecipanti erano un po’ troppo lunghi, lui aveva il fazzoletto nel taschino e doveva fare i conti con tutto: tempi, ritmo, relatori. Ma Paragone ha l’orecchio musicale e dopo poco ha ripreso le note. Ha mosso il programma, l’ha pulito, lucidato, reso rock. Allora è stata tutta un’altra solfa. E anche gli ospiti sono arrivati. Pupillo del Senatur, è la faccia ragionevole della Lega, il padano (con origini sannite) che capisce Roma e la spiega «al suo popolo», il giornalista che esce dalle pizzerie della bassa, poi si annoda la cravatta e va nei salotti bene capitolini a studiare il nemico senza nemmeno portare con sé (chissà per quale miracolo) l’odore di olio fritto. È leale, affettivo, solare, con un approccio giocoso nei confronti della vita che lo porta a relativizzare anche le beghe di Palazzo. Va in onda come scrive: per divertirsi. Gli piacciono le canzoni napoletane, gli abiti, la Juventus e il pesce crudo. Adora andarsi a prendere le notizie e investire tempo in chiacchiere con gli interlocutori giusti. Di fare il bambino prodigio gli è capitato quasi per accidente, mentre pensava a un concerto di Vasco, fosse per lui, l’adulto lo farebbe con molta più lentezza. Però ormai c’è dentro. Ed essere capace di starci non è una colpa.

Anche se uno ha trentotto anni, si chiama Paragone (che lui abbrevia in «Para» ma resta un cognome non propriamente nordico) e simpatizza per la Lega. In tv sdrammatizza, ha la colpa del sorriso, è educato con gli ospiti, ascolta più voci. Perciò è impopolare tra certa sinistra chic. Perciò a noi piace tanto. In più c’è dell’altro.

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