nostro inviato a Parigi
Ségolène non piace a destra, non convince a sinistra, lascia perplessi i tanti francesi moderati che non hanno ancora deciso per chi votare. E il giorno dopo il grande discorso che avrebbe dovuto imprimere una svolta alla sua campagna elettorale, la Royal scopre di essere ancora più sola. Tra i grandi giornali solo Libération ha commentato con entusiasmo i suoi cento punti; ma bastava dare unocchiata alle reazioni dei lettori pubblicate sul sito del giornale per accorgersi che anche nei ranghi socialisti cè chi si dimostra dubbioso.
Con Le Monde, che, come di consueto, arriva in edicola nel primo pomeriggio, va peggio. La titolazione è fredda, leditoriale imbarazzante: a parte qualche apprezzamento, obbligato, «sul sapiente mix tra il programma socialista e le proposte della candidata», il quotidiano di riferimento della gauche si compiace che gli elettori possano scegliere tra due progetti di società radicalmente diversi luno dallaltro. Ma evita accuratamente di schierarsi, anche perché la destra incombe. È rapida e persuasiva e, come già accaduto nelle scorse settimane, vince la battaglia della propaganda.
Nel suo quartier generale Nicolas Sarkozy può contare su un «ufficio di reazione rapida» particolarmente efficiente. Nellarco di poche ore i suoi spin doctor esaminano linterminabile allocuzione domenicale della Royal individuandone incongruenze e punti deboli. Uno in particolare: la copertura finanziaria. Ségolène ha proposto di rendere più giusta e sociale la Francia promettendo aumenti a pensionati, insegnanti, disoccupati e cospicui investimenti nel sociale, nella ricerca, per lecologia. Si è però dimenticata di spiegare dove intenda trovare i soldi, proprio lei che aveva iniziato il meeting in un palazzetto alle porte di Parigi denunciando la crescita esorbitante del debito pubblico.
Il suo programma è incongruente. Conti alla mano, gli strateghi elettorali di «Sarko» stimano a decine di miliardi di euro lesborso a carico dello Stato. Parte il bombardamento mediatico, a cui si associa il premier Dominique de Villepin, che denuncia «lirresponsabilità del programma socialista». «Dobbiamo proprio commettere gli stessi errori del passato?», chiede polemicamente lultimo dei fedelissimi di Chirac che, dopo lannuncio del ritiro del capo dellEliseo, si allinea dietro lun tempo inviso «Sarko». La destra liberal-gollista è arrembante, come daltronde il terzo incomodo, il candidato centrista Bayrou, che a sua volta spara cannonate sul progetto della bella «Ségo», le cui riforme, se applicate, provocherebbero un deficit tra gli «80 e i 110 miliardi di euro», più del triplo di quello attuale.
Per tutta la mattinata di ieri il Partito socialista tenta di ignorare le critiche, poi di minimizzarle, ma nel primo pomeriggio è costretto a reagire. «Non dobbiamo dimostrare alcunché alla destra, che non può certo permettersi di dare lezioni», tuona il portavoce Julien Dray. «Spiegheremo tutto con grande precisione nelle prossime settimane», assicura. Settimane? E perché non subito? La domanda resta senza risposta, avvalorando limpressione che il programma presidenziale sia frutto dellimprovvisazione e che le obiezioni dei due principali partiti abbiano colto nel segno.
Ségolène è di nuovo sulla difensiva, un atteggiamento disastroso in termini di marketing elettorale. Tanto più che deve controbattere anche alle critiche dellestrema sinistra. La candidata trotzkista Arlette Laguiller giudica «molto deboli» le cento proposte, e comunque «non in grado di risolvere i problemi della classe operaia».
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