Il Parlamento bocci il doppio gioco del ministro Tps

Dalle 23 e 30 di domenica sera c’è qualche ragione in più per mettere ai voti in Parlamento una mozione di sfiducia personale nei confronti di Tommaso Padoa-Schioppa. Pensavamo che un ministro avesse l’obbligo di rispettare le norme che impongono il silenzio mentre sono ancora aperte le urne di una consultazione elettorale. Per un tempo interminabile abbiamo visto e ascoltato il ministro dell’Economia intervenire su tutti i temi dell’agenda politica per sostenere la sua causa personale e quella del governo. Assistito nel suo compito dal direttore del più importante telegiornale nazionale che non ha esitato a spiegare subito agli spettatori, tanto per mettere le cose in chiaro, che era pienamente d’accordo con «la ricetta politica, economica e sociale del ministro».
Era tutto allestito con cura per raggiungere l’obiettivo. Ma Padoa-Schioppa non è un uomo facile da gestire: gli metti a disposizione un calcio di rigore, e lui riesce a trasformarlo in un autogol. Quando con Guido Crosetto abbiamo iniziato alla Camera la raccolta di firme per la mozione di sfiducia nei suoi confronti abbiamo spiegato che un Paese che non vuole che il discredito della politica diventi disgusto della politica non può tollerare la presenza di un ministro che inganna spudoratamente il Parlamento. E viene clamorosamente sbugiardato dalla magistratura di controllo (Consiglio di Stato e Corte dei conti). Mi sbagliavo, ma solo per difetto. L’inganno non era solo quello di avere negato contro ogni evidenza i legami che c’erano tra la rimozione (con infamia) del generale Speciale e l’affare Unipol, in modo da coprire gli abusi commessi da un suo vice-ministro.
Dall’intervista al Tg1 abbiamo appreso qualcos’altro. La nomina del generale alla Corte dei conti, il famoso «contentino», non era un’idea del ministro dell’Economia ma un’iniziativa nata all’ultimo momento in Consiglio dei ministri che lui non condivideva. E quindi l’inganno è stato doppio. Al Senato, Padoa-Schioppa ha dichiarato solennemente che sulla correttezza formale e sostanziale dei provvedimenti da lui «assunti e condivisi» per il generale Speciale non potevano esserci dubbi. A Gianni Riotta che lo ascoltava dagli studi del Tg1 ha rivelato invece che sulla nomina di Speciale alla Corte dei conti lui non era d’accordo e di conseguenza i dubbi sono leciti.
In pochi giorni questo stesso ministro ha raggiunto traguardi mai toccati dalla storia della Repubblica: ha provocato sconcerto e malumore non solo nella Guardia di finanza ma in tutti i corpi di polizia del Paese. Ha umiliato la Corte dei conti ridotta al rango di un parcheggio di periferia per servitori dello Stato incapaci o, peggio, infedeli. Ha incoraggiato il gioco dei ricatti all’interno della sua maggioranza. Si è coperto di ridicolo con i tribunali amministrativi che lo hanno sconfessato per il suo tentativo di destituzione di un consigliere della Rai.

Ha gettato ombre anche sulla Magistratura, parlando di ambigui rapporti tra i vertici della Guardia di finanza e alcune Procure dello Stato. Ed è per questo che bisogna inchiodare al più presto con un approfondito dibattito parlamentare il ministro Padoa-Schioppa alle sue responsabilità.

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