Parmalat, accuse di usura ad alcuni banchieri

Indagine nella vicenda dell’acquisto della società di acque minerali Ciappazzi

da Parma

Si chiude l’indagine sull’acquisto da parte di Calisto Tanzi della società Ciappazzi (acque minerali) dal gruppo Ciarrapico. Con una novità: Cesare Geronzi è accusato di usura in concorso con altri tre dirigenti dell’ex Banca di Roma. Un’ipotesi di reato, contestata con l’aggravante di aver agito nell’esercizio dell’attività bancaria, che emerge ora dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari condotte dalla Procura di Parma. L’atto è stato notificato qualche giorno fa al banchiere e a sette manager di Capitalia. Tra questi anche Matteo Arpe, amministratore delegato. A lui vengono contestate alcune ipotesi di bancarotta semplice e fraudolenta, in relazione «alla formazione fittizia del capitale della società turistica Parmatour», costola del gruppo di Collecchio.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, rappresentata dal Pm Vincenzo Picciotti, Geronzi e i tre manager «conseguivano vantaggi usurari in favore del venditore (ovvero Ciappazzi, ndr)» e «vantaggi usurari diretti, in relazione agli interessi corrisposti sull’importo di euro 18.075.000, in realtà vincolato, sulla base dell'illecito accordo» che si sarebbe pattuito con «l’investimento autolesionistico nell’azienda Ciappazzi». Insieme a Geronzi la stessa contestazione di usura aggravata è rivolta anche a tre manager: Alberto Giordano, all’epoca vicepresidente del cda di Banca di Roma, Roberto Monza, direttore centrale di Banca di Roma, Riccardo Tristano, responsabile dell’area legale e affari generali dapprima di Banca di Roma e in seguito di Capitalia.
In particolare, Geronzi e gli altri tre manager - scrive sempre Picciotti nell’atto - «inducevano Calisto Tanzi», alla guida di un gruppo alimentare come Parmalat, già «in condizioni di difficoltà economica», prima «a stipulare il contratto di acquisto dell’azienda Ciappazzi e, in seguito, a fronte di un irrisorio sconto di due miliardi di lire, a consolidarne gli effetti giuridici ed economici». Da questo, per l’accusa della Procura, sarebbero conseguiti «vantaggi usurari in favore del venditore», a più riprese, in corrispettivo di finanziamenti per complessivi 68 milioni 75mila euro», dei quali circa 50 «da rimborsarsi dopo appena 6 mesi». Secondo l’accusa degli inquirenti, l’operazione provocò un «notevole danno patrimoniale (alle casse, ndr) delle società Parmalat Spa e Cosal Srl (una delle “casseforti” di Tanzi, ndr), che venivano costrette ad abbandonare ogni pretesa relativamente al contratto di vendita». Parmalat, infatti, si ritrovò a controllare un’azienda di acque minerali che, in pratica, mai produsse nulla, «per intervenuta decadenza della concessione».
Concluse anche queste indagini preliminari a Parma rimangono ancora diversi fronti da approfondire. A iniziare dal ruolo svolto dalle banche estere alla vicenda Parmatour. Ma iniziano anche a ripetersi gli interrogativi su come verranno condotti i processi.

La Procura infatti è in perenne carenza di organico e, sembra che anche lo stesso Vincenzo Picciotti potrebbe presentare o aver già presentato domanda di trasferimento. Seguendo così le volontà espresse dalle due colleghe che lo affiancano nel Pool che indaga sulla bancarotta del gruppo di Collecchio.

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