Economia

Parmalat, la marcia dei quarantamila

da Milano

I cartelli, gli striscioni, gli slogan sono solo un ricordo. Il popolo dei risparmiatori frustrati ormai sta rintanato in casa, in attesa degli eventi. Sono davvero pochi i truffati in aula, alla prima udienza del processo contro le banche. I grandi numeri, però, ci sono ancora: quarantamila persone chiedono di essere risarcite e mettono nel mirino quattro istituti di credito stranieri, da oggi sul banco degli accusati: Ubs, Citigroup, Morgan Stanley, Deutsche Bank. La giustizia rincorre faticosamente i protagonisti della più grande bancarotta della storia italiana: 14,4 miliardi di euro.
Un cratere che ha ingoiato i risparmi di migliaia e migliaia di sventurati. Si procede per battaglie successive sull’asse Milano-Parma. Il dibattimento contro lo stato maggiore del gruppo di Collecchio è già avanti e potrebbe chiudersi prima dell’estate; ora tocca alle banche, sempre per aggiotaggio, il reato contestato dai Pm di rito ambrosiano. Il 14 marzo, partirà invece a Parma il grande processo a Tanzi e ai suoi collaboratori per la bancarotta e, se le previsioni saranno rispettate, nel 2009 andrà in scena la replica contro gli istituti di credito.
Un fatto è certo: le ferite bruciano ancora sulla pelle di chi ha perso tutto. Solo che in aula l’atmosfera è più rarefatta, non c’è quello slancio garibaldino dei primi tempi. «Avevo investito 78mila euro in obbligazioni Parmalat - spiega Cesare Pavesi, pensionato dopo aver fatto per una vita il tassista -: era stata la mia banca a consigliarmi, mi avevano spiegato che Parmalat era un’azienda sana».
Sappiamo com’è andata a finire: nei mesi precedenti il naufragio, gli istituti di credito piazzarono milioni su milioni di bond nelle tasche dei risparmiatori, consegnando loro il pericolosissimo cerino. Fino a che punto i banchieri sapevano? Avevano capito o almeno intuito lo sfacelo che si nascondeva dietro il velo dei bilanci, truccati nel modo più grossolano?
Le risposte arriveranno, si spera, fra Milano e Parma. Insieme con risarcimenti più o meno corposi. «Citigroup - si legge in una nota - ribadendo la propria totale fiducia nella giustizia, è convinta che in sede processuale sarà accertata la totale estraneità del proprio collaboratore e della società ai fatti contestati e sarà dimostrato che Citigroup fu parte offesa della bancarotta».
Dunque, non complice ma vittima. È così? Dall’altra parte della barricata l’avvocato Carlo Federico Grosso, che da solo rappresenta circa 32mila persone, prova a rincuorare chi aspetta giustizia: «Sento che i risparmiatori non hanno più molta fiducia, ma sbagliano: speriamo di arrivare a delle proposte transattive nel corso di questo giudizio». Anche perché, come ha ricordato in un’intervista al Giornale il procuratore di Parma Gerardo Laguardia, le banche non avrebbero potuto vendere i bond ai consumatori: «E infatti quelli che oggi intentano causa civile agli istituti di credito vincono ».
Grosso mette le mani avanti anche davanti al rischio prescrizione che per un reato come l’aggiotaggio scatta nel 2010: «Mi auguro che il processo vada avanti speditamente al di là delle solite difficoltà iniziali».
La prossima udienza è fissata per il 7 marzo. Quel giorno si affronterà la costituzione di parte civile dei quarantamila, compresa una signora beffata anche nel cognome: si chiama Maria Tanzi. Non dovrebbero esserci problemi contro le persone fisiche, nove manager in tutto, assai più difficile ottenere il via libera contro le persone giuridiche, insomma le banche.

I precedenti sono sfavorevoli, almeno a Milano.

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