«Parola alla Corte dei conti»

Un investimento di 387 milioni, di cui 115 da fondi statali, per la ristrutturazione del Policlinico Umberto I, parte dei quali per trasformare l’ex Regina Elena in Dipartimento di ematologia e trapianti. Un’ulteriore spesa di 380 milioni per ospitare nel Policlinico campus all’americana, alberghi, parcheggi, aree verdi. Questo il futuro tracciato tempo fa dal presidente della Regione Piero Marrazzo. Di tutto questo, non è stato fatto niente. Motivo? In parte la risposta è leggibile nello stenografico dell’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, 6 febbraio 2007, del preside della facoltà di medicina de La Sapienza, Luigi Frati. «In assenza di un passaggio formale del Policlinico dal demanio dello Stato all’università, non può essere fatto nemmeno mezzo metro cubo di costruzione - argomentava il senatore di An, Cesare Cursi -. Gli interventi urgenti sono previsti dalle leggi ma, quando si fa la ristrutturazione di una intera palazzina o si prevede di fare un’operazione di project fìnancing, per esempio i parcheggi, di certo questi non sono interventi urgenti: possono essere effettuati solo se c’è stato il trasferimento della proprietà». E la situazione è rimasta tale e quale, conferma il senatore del Pdl Domenico Gramazio: «Oltretutto finché non si chiarisce il ruolo della moglie del direttore generale del Policlinico, noi siamo contrari a qualsiasi gara d’appalto».
Questo spiega perché i lavori al Regina Elena, che ricadono nel progetto complessivo, non vedono la luce. Resta in piedi il discorso del danno alle apparecchiature all’interno, e ai furti, dopo l’occupazione del giugno 2007 a opera di Action. Chi ne risponde? La Cgil addossa la colpa alla Sapienza. Che dal canto suo ribatte: gli Ifo dovevano lasciare l’immobile vuoto, non abbiamo responsabilità. Le cose sembrano però un tantino più complesse. Non basterà probabilmente ribattere alla Cgil. A sparare a zero è intanto lo stesso Gramazio: «Quello dei macchinari abbandonati all’interno è uno scandalo. Ho appena chiesto al senatore Giuseppe Valentino, che è anche avvocato, di inoltrare una denuncia alla Corte dei Conti per lo sperpero di beni pubblici. Possono essere tranquillamente riciclati e riutilizzati in altri ospedali, specie in tempi di dissesto della sanità». E poi le utenze: «Luce, acqua, telefono, che l’Università, mi risulta, continua a pagare. Chi ne risponde?». Ma non è tutto. «Mi risulta che dentro ci sono ancora centinaia di cartelle cliniche, alla mercè di chiunque. Qui si sta violando la legge sulla privacy», conclude Gramazio.
Dal canto loro gli Ifo, Istituti Fisioterapici ospedalieri, respingono ogni addebito: «Dovevamo lasciare i locali vuoti? - risponde una portavoce - Ma questo era solo un primo accordo. A un certo punto l’Università aveva urgenza di spazio e si è raggiunto un secondo accordo: dello sgombero ve ne occupate voi dell’Università e ci addebitate il costo». La lettera inviata alla Sapienza dal direttore generale Ifo, il 14 aprile 2006, sembra chiarissima: «Successivamente alla consegna del 25 maggio 2005, gli Ifo hanno provveduto a liberare tutte le aree dalle sorgenti radioattive, dagli archivi, dalla biblioteca e dalle suppellettili utilizzabili, mentre per tutti gli altri mobili presenti si è convenuto con i vostri tecnici che lo sgombero sarebbe stato effettuato da voi a nostre spese. Nessuna responsabilità può essere imputata agli Ifo per l’accesso a quei locali dopo il 15 gennaio 2005».

E le cartelle cliniche lasciate in giro nelle stanze? «Cartelle cliniche? - ribatte il portavoce -. Solo schede ambulatoriali dove in certi casi c’erano dati sensibili». Che tipo di dati? «Nome e cognome». E magari anche la patologia? «In qualche caso sì».

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