Parreira fugge dall’uscita di emergenza

Jacopo Casoni

La festa, il samba, il calcio vissuto come uno dei piaceri della vita, un gioco, un divertimento. Tutto vero, in Brasile il pallone è questo, quando si vince però. In caso di ko, magari bruciante come quello con la Francia, è dramma collettivo, lutto nazionale e, di conseguenza, rabbia da sfogare.
Così, agli aeroporti di Rio de Janeiro e San Paolo, centinaia di tifosi reduci da una notte di pianto a dirotto hanno accolto la delegazione verdeoro di ritorno dalla sciagurata avventura tedesca. Carlos Alberto Parreira è atterrato allo scalo carioca e, compresa l’atmosfera decisamente poco amichevole, ha preferito dileguarsi, uscendo da una porta laterale e ben nascosta. A San Paolo, invece, Cafu ha scelto di non sottrarsi alle critiche rumorose e ingenerose dei connazionali. «In pensione, in pensione» è il coro che ha risuonato per le sale d’attesa dell’aeroporto, ma il terzino del Milan non vuole sentire parlare di ritiro. «Non so se continuerò a giocare in nazionale – ha spiegato ai cronisti –, ma se dipendesse da me non smetterei». Tra i protagonisti della débâcle c’è poi chi l’ha presa male, per davvero: Kakà ha avuto una crisi di nervi che ha addirittura spaventato i suoi compagni.
I quotidiani brasiliani si sono adeguati all’alone di tristezza e rancore che ha iniziato a circondare gli uomini di Parreira e hanno scelto metafore religiose per criticare e distribuire consigli alla Seleçao di oggi e di domani. Così, i perché dell’eliminazione dal mondiale sono diventati i sette peccati capitali di Ronaldinho e compagni, mentre, per evitare di ripetere figure imbarazzanti in futuro, i giornali hanno stilato una versione rivisitata dei dieci comandamenti. Oltre a consigli di tipo tattico, si invitano i protagonisti del prossimo torneo in Sudafrica a non fraternizzare troppo con gli avversari, non illudersi con i vari record detenuti o battuti dai verdeoro, non considerare insostituibile il capocannoniere del mondiale precedente (per la gioia dell’ormai definitivamente «gordo» Ronaldo).

Ma il consiglio più triste e malinconico è quello in cima al decalogo, indirizzato a Ronaldinho: non lanciare un samba. Torneranno in loro, l’hanno sempre fatto, anche dopo «la tragedia del Sarria» nel 1982. E ricominceranno a vivere il calcio come solo loro sanno fare, come un gioco, un divertimento, un samba.

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