da Milano
In caso di nozze tra Capitalia e Unicredit il problema non sarebbe tanto fondere le due banche quanto gestire il potere concentrato nelle maggiori partecipazioni. Certo anche a livello di attività bancaria qualche sovrapposizione (soprattutto nellItalia del Nord) ci sarebbe. In cambio però listituto romano, che controlla il banco di Sicilia, potrebbe aprire agli uomini di Piazza Cordusio spazi di manovra nel Sud, area per il momento poco o nulla presidiata da Unicredit. Per il resto in termini di volumi e redditività (oltre 5 miliardi lutile, contro uno) la banca milanese guarda la fidanzata dallalto in basso.
Quanto alle partecipazioni i giochi sarebbero molto più complicati. La potenza di fuoco dei due gruppi messi insieme sarebbe enorme, almeno per le dimensioni della finanza italiana, tanto da dover subito suscitare la necessità di un immediato riaggiustamento. Il primo ostacolo sarebbe ovviamente costituito dalla partecipazione in Mediobanca (in totale la somma va oltre il 18%). Ieri il finanziere francese Vincent Bolloré, con le sue dichiarazioni sulla necessità di mantere gli equilibri in Piazzetta Cuccia, è stato esplicito. Il patto di sindacato di Mediobanca prevede la cessione (o la riduzione) delle partecipazioni in caso di mutamento della struttura di controllo di un partecipante. In base alle prime ipotesi le quote in eccedenza verrebbero riassorbite in parte dagli altri soci del patto e in parte utilizzate per allargare il flottante dellistituto (aspetto che è sempre stato a cuore al management di Piazzetta Cuccia).
Quanto a Generali le due banche insieme superano abbondantemente il 6%. Anche se si tratta di un 6% messo al servizio di due bond convertibili (scadenza 2008) che dovrebbero comportare unautomatica uscita del capitale dei due gruppi (entrati a suo tempo, quando si giocò la battaglia sullitalianità del Leone).
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