Il partito annaspa nel fango ma Walter si autoassolve: colpa della vecchia guardia

RomaLa Tangentopoli che investe il Pd da nord a sud rischia di diventare il terreno di una nuova resa dei conti interna. Quella tra «innovatori» (ossia Veltroni) e «vecchia classe dirigente» (ossia apparato post Ds, essenzialmente d’impronta dalemiana).
E forse non è un caso che ieri sera, mentre Veltroni era impegnato ad assicurare che il Pd «non si sottrarrà» alla questione morale, e mentre dai suoi non arrivava alcuna apertura alla sfida lanciata dal Guardasigilli Alfano per una riforma bipartisan della giustizia, la risposta sia arrivata da Massimo D’Alema. Per il quale il sistema giustizia sta attraversando una «crisi allarmante», il rischio che i cittadini «perdano la fiducia è altissimo», e serve «un patto sulle regole» che comprenda anche la riforma della magistratura. Un segnale di smarcamento dalla linea molto più prudente del segretario. Il quale, tanto più mentre il suo partito è investito dalle inchieste giudiziarie, non può permettersi, né vuole, rotture clamorose con la linea filo-magistrati di cui è portabandiera Di Pietro. Anzi, come faceva capire la copertina dell’Unità di ieri, con tanto di foto e frase famosa del defunto leader, Veltroni è pronto ad asserragliarsi dietro l’icona di Berlinguer e dei suoi richiami a una necessaria «diversità morale» della sinistra. Un «patto» con Berlusconi sulle regole della giustizia, che esporrebbe il leader Pd al «massacro», dicono i veltroniani, da parte dell’ex Pm, della magistratura associata e di tutta la cultura girotondina che alligna a sinistra, è «impraticabile». Ma D’Alema lo evoca.
Veltroni «soffre molto», assicurano i suoi, la «marea di fango che dalla periferia sale verso Roma», come scrive l’Espresso nel suo servizio di copertina sui «Compagni Spa». Sa che sotto quell’ondata «rischia di andare a fondo tutto il Pd», lui compreso. Eppure nel partito molti sono certi che cercherà di utilizzare contro i suoi nemici interni l’arma della «questione morale», facendo piazza pulita della «vecchia» classe dirigente mascariata, dal centro alla periferia, per imporre i propri uomini. Secondo quanto gli consigliano i suoi: «Gran parte dei fenomeni di malcostume sono eredità del passato», dice Giorgio Tonini, bisogna superare «la continuità con le esperienze di Ds e Margherita» e procedere a una forte «innovazione di uomini e metodi». Goffredo Bettini batte sul medesimo tasto da mesi, chiedendo un «ricambio generazionale». Gli amici di Antonio Bassolino lo dicono fuori dai denti: «Ma non notate che i nomi tirati fuori dai giornali che dettano la linea a Veltroni, dall’Espresso a Repubblica, sono tutti dalemiani? Si vuole fare piazza pulita, in nome di inchieste fumose, senza capire che il giustizialismo è una stagione da superare». La rabbia di Bassolino è comprensibile: ieri Veltroni ha espresso «sostegno convinto» a due sindaci nella tempesta, la Iervolino a Napoli e Domenici a Firenze. Ma sul governatore continua a insistere: «deve dimettersi», è un «segnale necessario» per far capire che nel Pd tira aria nuova. Lui resiste: «Bassolino se ne fotte della poltrona che Walter gli offre a Strasburgo, vuole difendere fino in fondo il proprio onore politico», spiegano i suoi. A Firenze le pressioni si concentrano sul contestato assessore Cioni (anche lui in odor di simpatia dalemiana): per impedire che, da indagato, partecipi alle primarie da sindaco, a Roma si sta pensando di annullarle. In vista della direzione del 19 dicembre, Veltroni serra le fila: dopo l’ultimatum via Repubblica («Basta veleni, chi non mi vuole lo dica»), i suoi hanno sollecitato dichiarazioni di sostegno a tutti i dirigenti, una sorta di pre-conta. C’è chi si è sottratto perché «irraggiungibile» all’estero (Fassino) e chi dalle file dalemiane, vista l’aria che tira, ha parlato di «intervista limpida e coraggiosa» (Minniti).

In direzione si preannunciano pochi interventi kamikaze di critica alla linea del segretario (dal fassiniano Cuillo al dalemiano Cuperlo) e una blindatura di Veltroni da parte di tutti gli altri. «Qui rischia di finire molto male», confida agli amici il vicecapogruppo Nicola Latorre, altra possibile vittima sacrificale del repulisti veltroniano.

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