Il partito democratico ha i suoi nemici in casa

Il partito democratico ha i suoi nemici in casa

Arturo Gismondi Il mondo si rovescia, nel Transatlantico di Montecitorio un deputato dei Ds dice: «Vedere Berlusconi che usa la Giustizia in campagna elettorale è davvero un bel paradosso». Poco lontano, però, l’onorevole Cicchitto di Forza Italia rovescia il paradosso e osserva: «Sentire i Ds scandalizzarsi per l’uso politico della Giustizia fa una certa impressione».
I bottegologi, i giornalisti che dai tempi delle Botteghe Oscure bazzicano la sede dei Ds, descrivono lo stato di eccitazione del partito, che segue il clima idilliaco dei giorni scorsi per il «voto unitario» della direzione: tanti sì, nessun no, come ai bei tempi, che ha suggerito al Corriere il titolone: «Fassino unisce i Ds: siamo perbene».
È durata pochi giorni e l’aria è cambiata, i Ds sono di nuovo in trincea, con Angius che annuncia, badoglianamente: «Ci difendermo dagli attacchi da qualsiasi parte provengano». C’è stata, è vero, la deposizione di Berlusconi, ma c’è anche la sensazione che il clima resti teso, i giornali che contano non hanno smesso di parlare di registrazioni che continuano a circolare, ronza come un moscone la parola Telekom, la madre di tutte le scalate. E le reazioni sono un po' schizofreniche. Tutti tranquilli, per Bersani anzi «arci-tranquillissimi» anche se «nei sottoscala del Potere c’è chi vorrebbe darci l’olio di ricino» giacché «con tutta evidenza ci sono funzionari dello Stato che in qualità di mestatori hanno cercato di macchiare il nostro buon nome» (siamo sempre al «buon nome» come si usava un tempo per le famiglie intemerate).
Fassino va, se possibile, un po' più in là perché paragona quelli che diffondono le telefonate registrate a Goebbels («sfiorando il delirio», dice Bondi) che non è proprio un indice di tranquillità. Scavando un po' si scopre che i Ds ce l’hanno, sì, con il centrodestra che non li ama, e però temono anche quelli che, a parole, li amano troppo rinnovando profferte di tipo matrimoniale, facciamo un partito unico, il partitone democratico per il quale Prodi, spalleggiato dal Corriere, preme, fa fretta, e se non ora quando. I comunisti hanno da sempre fatto dell’unità un mito, e non a caso Gramsci dette al giornale dell’allora minuscolo partito fondato da Amadeo Bordiga e da lui ereditato, il nome che ancora adorna la testata del partito.
Questa volta, però, i lontani eredi Ds recalcitrano, dicono di no, o prendono tempo, insomma non hanno nessuna voglia di confluire in questo benedetto Partito Democratico. Qualche ragione ce l’hanno, i Ds fingono che il loro unico nemico sia Berlusconi ma sanno bene che gli attacchi più devastanti al kombinat partito-Unipol-Coop rosse sono partiti sei mesi fa dagli alleati Parisi, Rutelli, Prodi, e dai giornali che oggi li invitano a prendere il coraggio a due mani, e a infilarsi nel lettone democratico che li aspetta. Non più di due giorni fa il vice-Mieli del Corriere, Pierluigi Battista, li invitava a rompere gli indugi, a «superare sé stessi per dar vita a una sintesi nuova».

Ma D’Alema, e Fassino, non hanno una gran voglia di superare sé stessi e di dar vita a sintesi nuove, la loro storia di ottant’anni parla chiaro. Anche perché così come sono, uguali a sé stessi, ai Ds fin qui non è andata male, stavano per mettere le mani su una banca che è una sintesi del parastato da Mussolini a oggi.
a.gismondi@tin.it

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