Il partito «popolare» di Fini surriscalda l’estate di An

nostro inviato a Rieti
Vecchia storia. Se il termometro della vitalità di un partito sta nella capacità di produrre un dibattito interno acceso, franco, diretto e senza troppi peli sulla lingua allora Alleanza nazionale gode sicuramente di una salute di ferro e di un alto tasso di democrazia interna. Se, al contrario, la misurazione della salute della destra italiana avviene attraverso la capacità di marciare compatti, adottare tonalità simili e rafforzare con le parole la linea dettata dal leader, allora la creatura politica guidata da Gianfranco Fini qualche problemino ce l’ha.
La scintilla che sta diffondendo i nuovi fuochi dentro la formazione di Via della Scrofa non nasce naturalmente per combustione spontanea. L’origine è ben precisa: il documento con cui il leader di An ha indicato una nuova prospettiva di crescita per la destra italiana con l’adesione al Ppe e la confluenza nel partito unitario in vista delle Europee del 2009. Una svolta, l’ennesima, che sembra aver rimesso in circolo quella vis pugnandi e quelle energie messe momentaneamente in pausa dopo l’azzeramento delle correnti voluto dallo stesso Fini. Ora, però, varcato il traguardo elettorale, la marcia in ordine sparso dei colonnelli sembra essere ripresa. E piccoli e grandi dissidi vengono alla luce.
La prima bordata parte venerdì con una polemica a cielo aperto tra D-Destra, l’area di An guidata da Francesco Storace (ormai smarcatosi in maniera netta dall’ex collega di corrente, Gianni Alemanno), e il Secolo d’Italia. Il giornale del partito non pubblica integralmente il documento approvato nel convegno di Camaldoli della scorsa settimana e Storace se ne lamenta, facendo inviare alle agenzie il testo completo. E sottolineando che, invece, il documento di Fini era stato pubblicato integralmente il 19 luglio. «Per diventare condivisibile - afferma l’ex ministro - il documento di Fini ha bisogno di robuste correzioni e non di acritica esaltazione. Ma soprattutto occorre più rispetto per chi pone dubbi. Il rischio di lacerazione è molto forte se continueranno a prevalere atteggiamenti arroganti». La replica del portavoce di An, Andrea Ronchi, è affidata a una battuta affilata: «Ognuno ha lo spazio che si merita». Inevitabile la ribattuta di Storace. «Affermare che ognuno ha lo spazio che si merita è perfettamente in linea con la censura operata dal Secolo d’Italia». E ancora: «Temo che il partito persegua un annacquamento dell’identità di destra, per inseguire piuttosto posizioni di centro con una certa tendenza laicista. Il mio partito resta An ma se Fiuggi 2 significa fermarsi ad Anagni, che è il paese subito dopo Fiuggi, allora non ci siamo».
Da Camaldoli a Orvieto dove Gianni Alemanno con la sua fondazione «Nuova Italia» apre un altro spazio di dibattito. E fa scattare il semaforo rosso per coloro che vorrebbero imporre scelte anti-identitarie al partito. «Supereremo la Fiamma quando ci sarà un simbolo che ci piace di più, non quando qualcuno ci chiede di toglierla». L’ex ministro delle Politiche agricole allontana anche lo spettro della questione morale. «Non c’è dubbio che l’elettorato di An faccia meno sconti di altri ed è quindi necessaria una maggiore austerità. Sono venute fuori quattro fesserie in due anni di intercettazioni ma comunque il campanello d’allarme c’è». E sempre da Orvieto parte la richiesta a Fini, firmata da una decina di parlamentari molti dei quali vicini ad Alemanno, di «regole certe nella selezione per i congressi» per garantire «l’adeguato svolgimento del dibattito interno».
Gli ultimi fuochi si accendono tra altri due esponenti di primo piano, Adolfo Urso e Altero Matteoli, questa volta sulla figura di Gianfranco Fini e sulla sua centralità rispetto al partito. La questione non è certo impostata in maniera polemica visto che a discutere sono due finiani doc. Ma i verdetti dettati dai due sono decisamente confliggenti. Per Urso «la leadership non è in discussione. I nostri partiti sono nati sui leader.

Nessuno concepisce l’Udc senza Casini, né Forza Italia senza Berlusconi e nessuno concepisce An senza la leadership di Fini». In disaccordo il capogruppo al Senato, Altero Matteoli, per il quale «An sopravviverebbe benissimo anche senza Fini. Auspico che Fini resti ma il partito non morirebbe: dire questo è sminuire An».

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