PASTICCIO IN SALSA MEDIORIENTALE

La risoluzione 1701 dell’Onu stabilisce che gli hezbollah devono venire disarmati. È necessario e giusto, dato che proprio gli hezbollah, con il rapimento di due soldati israeliani e il successivo lancio di katiuscia, sono responsabili di avere iniziato il conflitto. E sono sempre loro, con ogni probabilità, che lo riapriranno: Hezbollah è un vero e proprio partito armato, un esercito mosso dalla convinzione religiosa che «Dio è con noi» e che «Dio vuole la distruzione di Israele».
A conflitto appena concluso, e mentre ancora si devono dislocare le forze di interposizione, Hezbollah ha già annunciato la sua ferma determinazione di rimanere armato. È anzi presumibile – possiamo dire certo – che la Siria e l'Iran continueranno a fare affluire verso il Libano armi, uomini e tutto ciò che potrà servire a una più o meno prossima aggressione contro Israele. Di più: il presidente libanese ha già dichiarato che «è una vergogna chiederci di disarmare gli hezbollah».
Stando così le cose è più che comprensibile che Francia e Spagna si stiano già interrogando sulla costituenda missione. Mentre è molto significativo che Paesi musulmani come la Malesia siano entusiasti di fare parte della «forza di interposizione». La quale viene vista, ovviamente, come un cuscinetto temporaneo che permetta a Hezbollah di tirare il fiato e riorganizzare le forze nell'attesa di poter riprendere l'attacco. Anche il nostro primo ministro Prodi chiede all'Onu – doverosamente - regole certe sul da farsi una volta sul campo, ma sono proprio le regole certe che non avrà mai, visto che la risoluzione 1701 è nata ed è stata accettata in virtù della propria vaghezza: l'unico punto certo – il disarmo forzato di Hezbollah – come si è visto è già stato abortito sul nascere, non solo dai guerriglieri e dai loro fornitori d'armi, ma anche dallo stesso governo libanese. Nel nostro governo, invece, la confusione è grande. L'ultima dichiarazione di Prodi propende per una «soluzione politica» (ma quale?), mentre il ministro della Difesa Parisi ammette che l'intervento italiano sarà militare e «a rischio» dell'uso di armi.
In questa situazione a dire poco pasticciata, preoccupa (ma non sorprende) l'aperto atteggiamento filolibanese (ovvero filohezbollah) di Massimo D'Alema, che non ha esitato prima a condannare Israele per «eccesso di difesa», poi a farsi fotografare in atteggiamento fraterno con due ministri hezbollah. La posizione di D'Alema è comprensibile solo con l'interpretazione fornita ieri, su queste colonne, da Massimo Teodori: il nostro ministro degli Esteri si propone come leader unificatore di tutta la sinistra italiana, il cui unico comun denominatore, oltre l'antiberlusconismo aprioristico, è un altrettanto spiccato spirito antiamericano e anti-israeliano. Un disegno pregiudicato, visto che in gioco ci sono l'equilibrio e la pace internazionali, nonché la vita di nostri migliaia di soldati. L'unico dovere di D'Alema, oggi, non è fare dichiarazioni o esibire frequentazioni, bensì chiarire cosa dovranno fare i nostri soldati – tanti – dislocati nel fazzoletto di terra più pericoloso del mondo.

In breve: il nostro contingente andrà a coprire, bendandosi gli occhi e legandosi le mani, il riarmo degli hezbollah? Oppure dovrà e potrà davvero tentare di disarmarli accettando così le perdite e i lutti che ci saranno da entrambe le parti? Questo, e non altro, vogliamo sapere in modo chiaro e inequivocabile dal nostro ministro degli Esteri.
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