«Un patto fra i clan dietro la bomba in Procura»

Reggio Calabria«L’ordigno posto davanti alla sede della Procura generale di Reggio Calabria è opera di tutte le ‘ndrine operanti nella zona». Non ha dubbi il procuratore generale, Salvatore Di Landro, sulla matrice dell’attentato contro l’ufficio che dirige da poco più di un mese. «Se pensavano di intimorirci hanno sbagliato».
«Le cosche tradizionali si dividono il territorio, con una capillarità impressionate, quindi sappiamo bene qual è il confine della giurisdizione tra i clan. Quando vengono colpite le istituzioni - continua il procuratore generale - le decisioni vengono prese collegialmente e non da un clan in particolare».
Nonostante la tensione di queste ultime ore, il pg Di Landro sottolinea che «forse qualcuno si era illuso che tenessimo un profilo più basso, cosa sbagliata, perché noi non ci arrendiamo mai. Per molto tempo le organizzazioni mafiose hanno ritenuto che la Procura fosse l’anello debole della magistratura calabrese; i criminali tendono a pensare che nei giudizi di appello le cose si sistemino e quando questo non avviene, quando si rendono conto che i processi vengono trattati con pari impegno, qualcuno può avere la tentazione di reagire».
Su chi abbia compiuto l’attentato il procuratore generale di Reggio non ha dubbi: «Qui non si tratta solo di una cosca, questa decisione è stata presa collegialmente da tutti i capi delle famiglie mafiose reggine. Nessuno può pensare di attirarsi addosso l’attenzione delle forze dell’ordine senza pensare che questa poi non divenga un problema per il territorio».
Ma alzare il tiro conveniva alla ‘ndrangheta? «Una decisione che è stata valutata. I mafiosi hanno deciso che il rischio della risposta dello Stato, era inferiore ai benefici che secondo loro questo attentato poteva portare nei loro confronti», chiosa il capo dei pm.
Durante il vertice tenutosi nel pomeriggio in Prefettura e a cui hanno preso parte il sottosegretario e il capo di Gabinetto del ministero dell’Interno, insieme ai vertici delle forze di polizia e della Procura è stata formalizzata la richiesta relativa all’aumento dell’organico e delle autovetture in forza alla magistratura. Una richiesta che, assicura il sottosegretario all’Interno Francesco Nitto Palma, verrà esaudita. Inoltre, la riunione di ieri pomeriggio è servita a fare il punto della situazione in vista dell’incontro con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che si terrà giovedì prossimo presso il Palazzo del Governo reggino.
Intanto proseguono le indagini da parte dei carabinieri di Reggio Calabria. Le telecamere a circuito chiuso avrebbero ripreso la targa dello scooter usato dalle due persone che domenica mattina hanno posto materialmente l’ordigno davanti al portone della Procura Generale, ma da quanto si è appreso i numeri della targa non sarebbero distinguibili. Intanto ieri si è registrato anche il duro monito dell'arcivescovo di Reggio Calabria, monsignor Vittorio Luigi Mondello, contro gli autori dell'attentato: «I mafiosi cambino la loro vita presente, il Signore li chiamerà a render conto delle proprie azioni... Qui siamo abituati agli attentati, ogni notte ci sono incendi di macchine o una bomba verso questo o quell'altro negozio. Ormai non ci facciamo quasi più caso. Questo però ha impressionato molto non solo me ma anche la magistratura. Ha impressionato per il nuovo livello di attacco contro le istituzioni: questo è un segnale forte contro i giudici».
Un attentato «dimostrativo», secondo una delle ipotesi investigative, da considerarsi come una risposta alla continua azione repressiva delle istituzioni contro le «famiglie», in particolare al sequestro ed alla confisca di patrimoni accumulati illecitamente. L’ultima operazione, avvenuta alla vigilia di Capodanno, ha portato al sequestro di beni per due milioni di euro proprio nel Reggino.

Secondo questa chiave di lettura, i clan non potevano non essere consapevoli della reazione dello Stato rispetto ad un atto così fortemente simbolico ed il pericolo che essa rappresenta per i loro traffici.
Da qui la convinzione che l’attentato agli uffici della procura generale sia frutto di un patto fra i clan e non dell’iniziativa di una fazione che avrebbe messo a rischio gli affari delle famiglie.

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