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Le paure di Hamas

Mercoledì sera nel programma L’Infedele di Gad Lerner due partecipanti legati ai Fratelli Musulmani spiegavano con dignitosa convinzione la posizione del governo palestinese di Hamas. Negavano che fosse influenzato dall’Iran o da Al Qaida; ritenevano che nulla impediva che esso evolvesse nei confronti di Israele com’era evoluto l’Olp; che il boicottaggio imposto al governo palestinese era un errore perché avrebbe favorito un radicalismo contrario a questa tendenza evolutiva verso la pace.
Ciò che colpiva nella pacata presentazione dei loro argomenti era un senso di preoccupazione e di tristezza del resto pienamente giustificata. Non tanto per l’isolamento diplomatico di Hamas, né per il peso dell’accerchiamento militare israeliano, né per la sospensione degli aiuti economici americani ed europei, né per le recenti azioni terroriste contro l’Egitto che Hamas ha denunciato con non meno vigore di quanto avesse fatto il presidente dell’Autorità Palestinese per l’attacco suicida di Pasqua contro Israele. Era piuttosto una preoccupazione per la crescente divergenza fra il presidente palestinese Abu Mazen e il primo ministro Hanyeh, sfociata in uno scontro con numerose vittime a seguito del discorso tenuto dal capo di Hamas Khaled Meshaal nel secondo anniversario dell’uccisione da parte israeliana del fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin. In questo discorso il successore di Yassin aveva lasciato intendere che in Palestina c’erano persone che sabotavano il governo di Hamas. Si trattava non solo del rifiuto di Abu Mazen di autorizzare la formazione di una nuova forza militare nella quale sarebbero stati «versati» gli armati di Hamas e di altre formazioni combattenti, ma della minaccia di usare il suo diritto costituzionale per sciogliere il Parlamento se l’interesse della nazione lo avesse richiesto. Una iniziativa, questa, che porterebbe ad uno scontro armato fra Al Fatah e Hamas. Questa possibilità terrorizza Meshaal e gli fa dire che c’è un consenso «quasi universale» di vivere in pace con Israele se questi rientra dentro i confini del 1967, permette il ritorno dei profughi, rilascia i prigionieri e smantella il muro.
Hamas dovrebbe quindi scegliere, se vuole evitare un bagno di sangue, fra il riconoscimento di Israele, la promozione di una specie di plebiscito nel mondo arabo per realizzare un consenso nei confronti di Gerusalemme a cui Hamas potrebbe aderire, oppure ritirarsi dal governo sostenendone un altro dall’esterno. Sono ipotesi sollevate dal quotidiano palestinese Al Ayam che, realizzabili o no, indicano le preoccupazioni che si sono create in Palestina dopo il primo mese in cui il governo non ha potuto pagare gli stipendi ai funzionari e ai membri delle forze armate.

Un secondo mese senza paghe potrebbe portare a quell’anarchia che tutti in Palestina paventano.

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