Paz Vega: "Che tormento essere la donna sexy di un reporter di guerra"

L’erede di Penelope Cruz, protagonista di "Triage": il mio uomo torna dal fronte e io non lo riconosco più

Paz Vega: "Che tormento essere la donna sexy di un reporter di guerra"

Roma - Batte bandiera iberica il nuovo simbolo del sesso hollywoodiano, visto che ormai Paz Vega, bambolina di Siviglia classe 1976, s’è trasferita a Los Angeles, dove l’apprezzano dai tempi di Spanglish - Quando in famiglia sono in troppi a parlare, commedia romantica di James Brook. Ieri, però, a giochi festivalieri aperti, lei, che in Spagna ha lavorato con Pedro Almodóvar (Parla con lei, 2002), cercava d’essere seria e riservata, a parte certe scarpine merlettate, col lungo tacco a stiletto, da infilzarci una blatta nell’angolo.

Nel film d’apertura del Festival Internazionale del Film di Roma, infatti, l’interessante Triage (in concorso e dal 27 novembre sugli schermi) dell’oscarizzato bosniaco Danis Tanovic (No Man’s Land, 2001), l’erede di Penelope Cruz impersona la classica donna del fotoreporter di guerra, Elena, brava ad attendere il suo uomo dal fronte (il Kurdistan) e a riempirgli casa di oggetti inutili. Invano lui, Mark, un Colin Farrell al meglio del suo stralunamento, le fa capire che gradisce l’arredamento semplice. Niente da fare: Elena è una spagnola trapiantata a Dublino che beve birra scura, lavora e fa shopping. Però, che tormento quando Mark torna dal Kurdistan, dove ha visto l’indicibile, zoppo nell’anima e nelle gambe. «Non sei più te stesso», gli dice lei, che intanto sfoggia miniabiti rosso fuoco e cerchi dorati da gitana (il padre di Paz è un matador).

Persino quando lui crolla, finendo in ospedale perché in testa ha ancora una scheggia di granata, Elena non molla il vestitino aderente e il decolléte vertiginoso: è sempre Paz Vega, che diamine, una che se proprio deve interpretare una santa, sceglie Santa Teresa (vedi Teresa e il corpo di Cristo di Ray Loriga, un vero scandalo per la Conferencia Episcopal), mistica in così intima unione col Cristo da restare a bocca aperta (così, difatti, l’ha scolpita il Bernini). «Negli ultimi cinque anni, è vero, ho lavorato prevalentemente fuori dalla Spagna. Triage è l’ottava pellicola straniera, che giro in inglese e per me, adattarmi a questa lingua, non è impresa da poco», dice Paz, capelli lisci e lucenti, che fanno concorrenza a quelli curatissimi della Cruz.

Tratto dal romanzo omonimo di Scott Anderson, Triage (nel film è il nome di un’improvvisata infermeria da campo, dove un medico mette un cedolino blu sul ferito inguaribile al quale sparerà il colpo di grazia), si avvale anche di Christopher Lee (fa il nonno psicanalista di Elena) un vero monumento, che ieri ha rivelato d’aver fatto la guerra a Cassino e a Udine. «Lavorare con Christopher Lee? È stato davvero un onore essere la sua nipotina: lui è un mito! E mi sento fortunata ad averlo avuto come partner. Non ho dovuto certo insegnargli a “fare” lo spagnolo: lui sa tutto». Se Lee è stato un conforto, per la protagonista di Lucia y el sexo, Tanovic, al contrario, inizialmente, l’ha spaventata. «Lui è un vero bosniaco: ha il vocione grosso, è rude e quando l’ho conosciuto a Los Angeles col suo vocione m’ha intimato “ti voglio nel mio film”. Non ho potuto dirgli di no. Mi ha fatto paura».

Sulla guerra civile spagnola, qui oggetto di discussione tra nonno e nipote, la Vega, per ragioni anagrafiche, non è edotta. «Non ho molta confidenza col tema», confessa, subito dopo che l’ultraottantenne Christopher Lee ha parlato a lungo della Seconda guerra mondiale, da lui combattuta tra il ’41 e il ’45, «a Montecassino e a Udine, con i polacchi».

Forse sono tutti pazzi per Paz proprio perché l’attrice, sposata con il modello venezuelano Orson Salazar e madre del loro Orson, si scava la nicchia della bella senza pensieri. «Alla fine, tutti noi abbiamo soltanto una cosa: la nostra famiglia, il sangue del nostro sangue.

Credo che essere sposati a un fotoreporter di guerra significhi dover essere forte», spiega lei, che sfascerà una famiglia nell’erigendo film venezuelano Hasta que la muerte nos separe («Fino a che morte non ci separi») di Abraham Pulido, dove sarà il sogno erotico di due fratelli, uniti dalla boxe, ma separati dalla passione per lei.

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