Pazza idea a teatro: un musical sulla sua vita

Chissà se andrà mai in porto un progetto così. Perché ambizioso, è ambizioso assai. Ma l’ideatore, l’inventore, l’anima dell’operazione ha la scorza per non arenarsi davanti al primo scoglio. E Pietrangelo Buttafuoco, presidente del Teatro Stabile di Catania, di scogli ne dovrà aggirare un tot se vorrà giungere in porto con la sua pazza idea annunciata a tutta pagina sul Foglio. Un musical sul Cav, avete capito giusto: l’epopea di Silvio Berlusconi raccontata alla maniera di Garinei e Giovannini. Da Si stava meglio domani a Giove in doppiopetto, da Rinaldo in campo fino a L’amore non è bello se non è litigarello, tanto per pescare in modo disordinato in quel repertorio. «Ci fossero ancora loro, ci avrebbero già pensato da un pezzo e, visto che non l’ha fatto nessuno, noi andremo avanti sparati», annuncia Buttafuoco che pensa in grande, elabora in modo articolato e bando ai dubbi e alle titubanze di rito che colgono chiunque, lui no, prima di varare un piano da polsi tremanti.
La premessa è semplice: nessuno è riuscito finora a raccontare davvero Berlusconi, eroe popolare di questi vent’anni. Non c’è riuscito il cinema, da Nanni Moretti a Paolo Virzì. Non ce l’hanno fatta la letteratura o la saggistica ostile, da Travaglio a Maltese. Meno che mai la satira antagonista, da Sabina Guzzanti a Maurizio Crozza. Tutta roba minata dal rancore, dalla frustrazione, dal moralismo. E, dunque, non resta che la via leggera e un tantino ruffiana del musical, linguaggio efficace anche per sottrarlo all’apologetica da dittatore buono: «Avete presente quelle fotografie di lui mentre interra gigli e tuberose? Ecco, tutto il contrario: ironia e modi beffardi degni di un’anomalia prestata allo spirito del tempo», chiosa Buttafuoco.
Il modello, la chiave interpretativa per ritrarre il Berlusca gliel’ha fornita Tomaso Staiti di Cuddia, gran tombeur de femmes che da ragazzo bazzicava teatrini e varietà: «Tutto mi sarei immaginato fuorché vedere Carlo Dapporto presidente del Consiglio». Già, lo chansonnier, il gran barzellettiere, l’affabulatore della rivista anni ’60, tra ballerine scodinzolanti e attricette in ansia di vetrina, il narciso ammiccante, dentatura luccicante e abito di sartoria spianati, che imperversava nelle commedie di Garinei e Giovannini, appunto.
Buttafuoco ha pensato a tutto. «Alla regia, e solo quella, vedrei bene proprio Moretti e sono convinto che, una volta conosciuto il nome del misterioso e più che autorevole sceneggiatore che appartiene alla famiglia del Foglio e che è già al lavoro, anche il recalcitrante regista del Caimano se ne persuaderebbe». E se invece no? «Proverei con Roberta Torre». E chi si ferma è perduto.
Mentre tutti preconizzano finali di partita alla maniera di Craxi o Andreotti o Enrico Mattei, per Buttafuoco la sorte del Cavaliere è già entrata nell’happy ending. «Se si toglie dallo scenario attuale il tassello Berlusconi, crolla tutto. Nemmeno l’antagonismo programmatico saprebbe più raccapezzarsi. Come accadde quindici anni fa, quando nessuno paventava l’improvvisa scomparsa della Democrazia cristiana, anche ora l’infarto delle istituzioni sembra approssimarsi rapidamente». Berlusconi rappresenta un’anomalia strana e vincente - l’antipolitica che governa - anche con le sue derive sgangherate. «Berlusconi è un’icona pop. Non c’è nulla di più ovvio che farne un racconto pop. Anche perché a lui manca il senso del tragico. Per questo ha saputo occupare le fantasie e le preoccupazioni dell’intero Paese. Il giorno in cui si chiuderà il sipario finiranno al macero anche tutti i giochi e le scommesse su possibili successori, delfini, numeri due, del resto già ora a un passo dall’obitorio, politicamente parlando».
La pièce che Buttafuoco ha in mente comincia proprio dall’Happy Ending (potrebbe essere questo il titolo) «con Berlusconi e il suo amico don Verzè, due meravigliosi vecchietti immersi nella beatitudine di una spiaggia incantevole e remota» che, sorseggiando tamarindo, riavvolgono il nastro della storia nella quale hanno lasciato segni profondi, ben più dell’Avvocato, ridimensionato a elegante comparsa nell’éra del Cav. Oppure, più maliziosamente, recuperando trascorsi e traversie da pigmalione, il titolo potrebbe essere My fair papy, concessione all’anima più sulfurea della sinistra morettiana. L’interprete? «È ancora da scegliere, ma Antonio Albanese sarebbe perfetto. Cercare la somiglianza fisica è un errore. Nel musical contano le sfumature, le doti artistiche. E la forza del personaggio prevale sull’attore.

In un momento in cui non si fa che parlare del corpo delle donne», osserva l’autore di Fimmini (Mondadori), depositario di una concezione virilmente galante dell’universo femminile, «raccontare il corpo del capo, del Fregoli dai mille volti, del Presidente-operaio, casalingo, partigiano, seduttore sarà un gran divertimento».

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