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Il pazzo e la bomba

A cambiare le carte in tavola è stato il treno

Il pazzo e la bomba

A cambiare le carte in tavola è stato il treno. Quando, pochi giorni fa, le immagini dei satelliti hanno mostrato un convoglio militare russo dalla sagoma un po' particolare che si muoveva verso il confine ucraino, gli esperti di armi atomiche hanno alzato il loro livello di attenzione. Perché le strutture e l'armamento dei vagoni hanno fatto subito capire che si trattava di mezzi del 12esimo direttorato del Ministero della Difesa russo. Nonostante la sede centrale del reparto sia in un riconoscibilissimo palazzo in pieno centro di Mosca, il 12 Gumo (così è conosciuto in sigla: 12 Glavnoe Upravlenie Ministerstba Oboroni, dodicesimo Direttorato principale del Ministero della Difesa) è una delle strutture più segrete delle intere forza di sicurezza. Più segrete ancora del confratello Gru, il servizio segreto militare. Dalla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, quando fu fondato da Laurenti Beria, considerato da molti l'anima nera di Stalin, il 12 Gumo ha l'incarico di ricevere le armi nucleari che escono dagli stabilimenti dell'ex Unione Sovietica, di gestirle, sorvegliarle nei suoi depositi sparsi per l'intero Paese e di consegnarle ai reparti operativi in caso di allarme nucleare.

ORGANIZZAZIONE COMPLESSA

In tutto le bombe russe sono quasi 6mila, secondo le statistiche del Sipri di Stoccolma, una delle più note agenzie internazionale di ricerca sull'armamento nucleare. E le uniche armi di cui il direttorato non ha il controllo, sono quelle strategiche (di maggiore gittata e potenza, incaricate di colpire i centri di comando e il territorio nemico) affidate a reparti mantenuti in assetto operativo e che vengono installate su missili balistici intercontinentali e su missili lanciati da sottomarini, in cui la responsabilità è affidata direttamente ai reparti sul terreno.

Al 12esimo direttorato fanno capo invece tutte le altre ogive, comprese le cosiddette armi nucleari tattiche, quelle di minore gittata e potenza, che sono dette anche di teatro, perché potenzialmente utilizzabili in uno scenario bellico convenzionale, per i loro effetti limitati e la loro maggiore controllabilità (vedi anche il grafico in queste pagine). Sono queste le armi che potrebbero essere impegnate in Ucraina e di cui si parla molto in questi giorni.

Secondo i rapporti dell'Unidir, l'agenzia dell'Onu per il disarmo nucleare che ha sede a Ginevra, questo tipo di armi è conservato in 12 depositi nazionali e in 35 depositi locali ognuno «legato» a uno o a diversi reparti operativi. I più vicini al territorio ucraino sono quelli di Belgorod, Voronezh e Bryansk, non lontano dal confine bielorusso. Questi siti di stoccaggio non coincidono con le basi in cui si trovano i «lanciatori», missili e aerei incaricati di portare la testata nucleare sull'obiettivo. Anzi, tra depositi e basi di lancio ci sono distanze che variano dai pochi chilometri fino a un centinaio. «È una caratteristica che ha conseguenze importanti», spiega Pavel Podvig, fisico russo che lavora come consulente presso l'Unidir di Ginevra (vedi anche l'intervista in queste pagine). «Tra l'allarme nucleare e la piena operatività, con la possibilità di lanciare materialmente la bomba, trascorrono come minimo ore, se non giorni». I militari del 12esimo direttorato devono infatti estrarre le ogive nucleari dai depositi sotterranei, caricarle su vagoni o camion, raggiungere le basi da cui operano i «lanciatori», «accoppiare» le bombe a missili o aerei e poi armarle.

Difficilmente tutte queste operazioni potrebbero rimanere inosservate dagli onnipresenti satelliti americani. E, come sottolinea il già citato Podvig «non ci sono solo i satelliti, basta avere qualche informatore in zona». È a questa «visibilità» che, con ogni probabilità, si riferiva nei giorni scorsi Jeremy Fleming, direttore del GCHQ, il servizio di sicurezza britannico incaricato della sorveglianza elettronica, che ha da sempre relazioni privilegiate con gli americani: «Non abbiamo nessuna evidenza che i russi abbiano avviato operazioni preparatorie per l'utilizzo di armi nucleari. E dovremmo essere in grado di notare gli indicatori che segnalano che ci si sta avviando lungo una china pericolosa».

ATTACCO E REAZIONE

Resta la domanda su che cosa gli americani farebbero una volta scoperto che il Cremlino si sta preparando a un attacco nucleare o, peggio, su come reagirebbero ad un attacco ormai in atto. In un libro uscito nel 2020, The Bomb, Fred Kaplan, esperto di politica militare, racconta di una esercitazione condotta nel 2016 dal National Security Council ai tempi dell'amministrazione Obama. Impegnati in un gioco di guerra, i responsabili dell'organismo avrebbero concluso che dopo un attacco condotto con un'arma nucleare tattica, agli Usa non resterebbe che la scelta della rappresaglia atomica. Ogni altra opzione finirebbe con il dare un'impressione di debolezza, rafforzando la posizione dell'aggressore.

Un altro gruppo di lavoro all'interno dello stesso Nsc (formato questa volta dai numeri due di ogni ufficio) avrebbe dato però la soluzione opposta, sconsigliando la reazione atomica. La motivazione in questo caso era che l'uso dell'arma estrema (sia pure come risposta ad un analogo attacco) finirebbe per indebolire la posizione «morale» degli Usa. Più utile, sostiene questa tesi, reagire con un attacco convenzionale su larga scala e agire per approfittare della solitudine «politica» dell'aggressore, colpevole di aver violato il «tabù» nucleare. L'amministrazione del presidente Joe Biden si è fin qui attenuta a una politica di «deliberata ambiguità», così viene definita, sull'entità e le dimensioni della rappresaglia. Anche se si ritiene che, forse attraverso l'ex numero uno della Cia Robert Gates, tenga aperto un canale con i russi a cui avrebbe comunicato la decisione di reagire con la massima durezza. Una posizione diversa è stata espressa nei giorni scorsi da Emmanuel Macron: la Francia, ha detto, risponderà con un attacco convenzionale.

In tutti i casi, secondo gli esperti, i probabili scenari legati all'uso da parte di russi di un'arma nucleare sono almeno quattro. Il primo è quello di un'esplosione dimostrativa al largo del Mar Nero, senza la volontà di causare vittime e con l'obiettivo di dimostrare che il Cremlino è pronto a tutto. L'ipotesi opposta è quella di un attacco diretto a Kiev per paralizzare la leadership ucraina. C'è poi la possibilità del bombardamento di una base o di un nodo strategico militare ucraino, cercando di evitare vittime civili. Infine c'è l'opzione Hiroshima: la distruzione di una città ucraina, che potrebbe causare decine di migliaia di morti e sarebbe condotta in base al piano che guidò gli americani nel 1945: terrorizzare il nemico fino ad indurlo ad arrendersi.

ERRORE IN AGGUATO

A complicare le cose c'è il fatto che i recenti sviluppi tecnologici rendono sempre più labile il confine tra armi convenzionali ed atomiche. Molti tra i vettori più moderni (missili, aerei, sommergibili) sono in grado di portare a destinazione ordigni dell'uno e dell'altro tipo. Il rischio di errori e di fraintendimenti è destinato così a crescere. Un rapporto dell'Unidir di Ginevra cita il caso di cinque velivoli strategici russi partiti nel 2015 dalla base di Engels, lungo il corso del Volga, e diretti per un bombardamento in Siria. Avevano armi convenzionali, che però avrebbero potuto essere anche atomiche, nota con preoccupazione l'agenzia.

In Ucraina, per il momento, la fungibilità dei diversi mezzi ha finito per tranquillizzare gli esperti.

«Il treno del 12esimo direttorato avvistato mentre si dirigeva verso l'Ucraina», dice Pavel Podvig, «con ogni probabilità non aveva nulla a che fare con l'arma atomica, ma era stato mobilitato per sostenere la malandata logistica dell'esercito».

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